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Channel: PierGiorgio Gawronski – Il Fatto Quotidiano
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Diaz: la vergogna dei partiti

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A Genova nel Giugno 2001 andò in scena in mondovisione uno scandalo democratico senza precedenti. Undici anni dopo la vicenda giudiziaria arriva debolmente a conclusione. I giudici hanno fatto la loro parte tra mille impedimenti, vuoti legislativi, e indulti. La politica, no. Per undici anni non ha fatto niente per evitare che quei fatti, o altri simili, si ripetessero. E così una cultura strisciante della violenza nella polizia è progredita, costringendoci ad assistere a pestaggi (quei pochi emersi), morti ammazzati, ed occultamenti delle prove. Con grave disagio soprattutto dei tantissimi funzionari di polizia fedeli alla Costituzione, e felici della loro alta missione di difendere la legalità sempre ed ovunque.

AI tempi delle primarie del 2007 avevo portato nel Pd tre proposte, che già circolavano ampiamente, e che il partito non recepì. La sentenza di ieri della Cassazione è l’occasione per rimediare alle omissioni del passato. Speriamo che Monti Mario ci legga. (A proposito, come sta Iulia Timoshenko?).

Le tre richieste sono:

  1. Una Legge contro la Tortura. Che ci viene chiesta da tanti anni da Amnesty International e da altre associazioni impegnate nella difesa dei diritti dell’uomo in tutto il mondo, e persino dalle Nazioni Unite. È a causa di questo buco legislativo che i responsabili di molte violenze sono condannati a pene ridicole, che di fatto non scontano mai.

  2. Il numero identificativo ben visibile sul casco, quando gli agenti scendono in strada in divisa antisommossa (e diventano non identificabili). Nei paesi liberaldemocratici, come la Danimarca, è un fatto scontato; in Italia è una bandiera che i partiti hanno vilmente abbandonato nelle mani dei gruppi estremisti.

  3. Il divieto di impedire riprese audiovisive (in pratica, di mettere le mani davanti alla telecamera, di allontanare la gente senza motivo, ecc.) salvo nei casi previsti dalla legge (basi militari, privacy, ecc.). Spesso, è il solo modo per acquisire le prove (a favore o contro, non importa).

Vorrei qui ricordare un episodio che mi è capitato in Svizzera. Notte fonda, inverno, strade deserte, aspetto un autobus. Sotto un ponte buio tre poliziotti si gettano su un ragazzo nero. Mi avvicino, mi fermo a un metro di distanza, sfacciatamente osservo. I poliziotti continuano imperterriti: stanno perquisendo il ragazzo, che resiste. Spacciatore? Ubriaco? Un poliziotto gira la testa verso di me: “Bonsoir!”, e continua il suo lavoro. Quel “buonasera” significa: se vuole, resti pure qui, a un metro da noi, a controllare: siamo ben fieri della nostra trasparenza, perché trattiamo sempre i cittadini con il rispetto dovuto.

Questa è la cultura che i partiti di destra e di sinistra succedutisi in Parlamento non hanno saputo o voluto promuovere. Almeno potevano comportarsi decentemente sul piano amministrativo: invece hanno promosso i principali responsabili delle violenze, compreso qualcuno che venne ripreso mentre picchia per strada con inaudita violenza un ragazzo inerme.

L’infedeltà dei dirigenti pubblici è un problema che riguarda tutta la PA. Mancanza di fedeltà alle leggi dello Stato, all’interesse pubblico, a quella Costituzione che in troppi vorrebbero cambiare… ed eccesso di altri tipi di fedeltà. Il risultato non è solo la corruzione, ma anche forme distorsive dell’interesse pubblico a fini privati non sempre perseguibili, eppure gravissime. La Legge Brunetta ha accentuato le difficoltà di chi, da dentro la PA, denuncia il malaffare: sono infatti previste sanzioni disciplinari (licenziamento) per chi critica in pubblico la sua amministrazione, o i capi. Insomma chi denuncia sa di dover subire non solo il mobbing, ma anche le rappresaglie nei tribunali delle cricche di roditori che corrodono le fondamenta dello Stato.

Partiti che promuovono funzionari infedeli che picchiano i cittadini inermi, mentre non riescono ad arrestare i violenti (black block): non c’è da stupirsi se poi i cittadini non li votano. 


Merkel non basta più: “Se dissenti fai salire gli spread!”

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C’è gente in giro che critica Monti. Trattengo a stento la mia ira. Vorrei dire pacatamente, a quei signori, Monti è una persona per-be-ne. Sta facendo di tutto per tirare fuori l’Italia dai guai. Anche Draghi: di Draghi mi fido. Dovremmo essere fieri di questi nostri due compatrioti. Almeno credo; io non me ne intendo: vado a intuito. Monti ha una laurea in Economia e Commercio, Draghi addirittura un PhD! Hanno trovato una situazione compromessa, la crisi non è colpa loro. Berlusconi ha portato lo spread da 150 a 519, Monti – mi dicono – da 519 a 470 in soli otto mesi. Gli statali hanno una produttività bassissima, bisogna ridurli. Poi, hai visto le nomine (Rai)? Solo brave persone! E sta svolgendo una grande azione in Europa. No, no, a me piace moltissimo. Eppoi, qual è l’alternativa? Non c’è, statene certi. Bisogna stare uniti.

Breviario - L’austerità riporterà la fiducia sui mercati finanziari: gli spread caleranno anche piuttosto velocemente…   Grazie alle riforme strutturali annunciate, le prospettive di crescita rilanceranno i consumi nel breve termine: così eviteremo la recessione…   Lo spread sale? È colpa della Spagna, non fa i compiti a casa: ci vuole più austerità!   La crisi? È anche colpa dell’America…   A Bruxelles abbiamo vinto!   Guai a cambiare Prandelli.

Suvvia! Lasciamo perdere … la recessione che s’avvita… la disoccupazione che s’impenna, i giovani che se ne vanno, i redditi in calo, le previsioni in peggioramento, gli obiettivi di finanza pubblica che verranno mancati, gli spread risaliti in tre mesi da 280 a 470, che si mangiano la spending review, il mondo che scivola in depressione, l’Euro che minaccia di crollare… Cerchiamo di essere realisti! Non lasciamoci trarre in inganno … Ehm … Dalla realtà!

Giorgio Squinzi (presidente di Confindustria)

Giorgio Squinzi (presidente di Confindustria)

 La realtà è luce, in fondo al tunnel. è un treno, che ci piomba addosso a tutta velocità. Sì? Colpa di Merkel, e degli anti-italiani! Monti e Draghi sono stretti da un nemico esterno e uno interno: il Fmi, i Nobel per l’economia – “They don’t understand the economics of what is going on” -; (Comun)Istat (aridaje, co ‘sta realtà), Confindustria, persino Zingales (liberista che comincia ad avere qualche dubbio) si è permesso di deridere la proposta “Taglia Spread” del governo italiano all’Europa. E certi giornali? Frange, però…  Anti-patriottici! Fermateli.

P.S. Purtroppo, neanche in questa legislatura siamo riusciti a cambiare la Costituzione. Ma nella prossima…

L’Unione politica Europea: quella sbagliata

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Tutti parlano dell’unione politica dell’Europa come dell’Unica Via di Salvezza per l’Euro. Ma “unione politica” vuol dire “stato sovranazionale”, uno Stato unico, come gli Stati Uniti! Il sillogismo dominante è il seguente. L’Euro ormai c’è: uscirne sarebbe molto costoso e doloroso. Ma l’Euro non ce la fa senza l’unione politica. Ergo: bisogna fare l’unione politica, in fretta. Lo dicono Profondi Ponzatori di destra e di sinistra: a ripeterlo, fai un figurone.

Eppure, questa storia non quadra. Non quadra per niente.

  • Io l’unione politica vorrei ancora farla, però liberamente, non perché costretto (dalla crisi). Né sono sicuro che oggi i popoli d’Europa desiderino unirsi, considerati i malumori e le incomprensioni che la pessima gestione della crisi ha suscitato.

  • Nel caso, vorrei poter discutere, scegliere anch’io che tipo di Stato, di regole, di istituzioni creiamo: altrimenti sentirei di aver perso la libertà.

  • Non mi piace la germanizzazione dell’Europa, men che meno la costituzionalizzazione dell’agenda neoliberista (di cui pure condivido alcuni aspetti) che Monti e Draghi, assieme alle destre EU, stanno promuovendo.

Un processo così poco democratico che radici può avere? La propaganda tecnocratica insiste sulla necessità “economica” dell’Unione, finge scelte “neutrali”, si autoassolve per la crisi, promuove il linciaggio mediatico del dissenso: “Tu fai salire gli spread!” Dovrebbero ricordare che nel 2005 gli elettori bocciarono la Costituzione Europea. Stavolta si fa di tutto per evitare che i popoli si esprimano liberamente: può funzionare? Solo se la democrazia viene ulteriormente compressa; in caso contrario, c’è uno spread fra questi governanti e la realtà.

È stato penoso in questi giorni assistere alla retromarcia di Squinzi; ma anche all’aggressività dei suoi censori – Montezemolo, gli scalfariani scatenati -; e all’ignavia del PD (Letta) e di Napolitano. Il quale, come Bersani (che a differenza di Di Pietro e Grillo avrebbe l’infrastruttura culturale per fare proposte alternative), continua a chiamare “politiche anti-crisi” il Grand Plan neoliberista, e auspica che i partiti continuino sulla stessa linea “anche dopo le elezioni del 2013”. Anti crisi? Lo sa il Presidente che da quando Monti c’è gli spread si sono mangiati tutte le manovre fatte, e altro ancora? Questo per quanto riguarda la finanza pubblica. E che dire dell’economia reale? Di cosa stiamo parlando?

produzione industriale

produzione industriale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il che mi riporta alla crisi. Il mantra dominante, infatti, non quadra neppure nelle premesse.

  • Non è vero che per risolvere la crisi occorre l’unione politica dell’Europa. E comunque, non quella che hanno in mente. E comunque, prima si potrebbero fare ben altri tentativi.

Certo, negli USA se fallisce la California non è una tragedia: i cittadini ricevono da Washington quasi tutti i servizi e le prestazioni sociali. Ma di queste redistribuzioni regionali l’Europa non parla nemmeno. Qui i modelli neoliberisti non offrono soluzioni: le cadute della domanda “si risolvono da sole”. Perciò le politiche sono solo reattive: ad ogni smottamento cercando di puntellare la situazione con i soldi (Eurobonds; Fondo Taglia Spread; Salva Banche; ecc.) dei paesi che ancora li hannoNon riescono proprio a vedere altre soluzioni. Ma la Germania giustamente risponde: se volete i mei soldi, voglio poter controllare come li usate: in altre parole, voglio l’unione politica.

Chi frequenta questo blog dovrebbe essere familiare con le proposte anti crisi di stampo keynesiano (Manifesto), e sa che la crisi si può risolvere subito e senza chiedere soldi alla Germania. Quindi senza la necessità di un’ampia unione politica, ma solo di alcune profonde innovazioni su specifici punti, decisivi della governance dell’Euro.

Le attuali politiche invece alimentano le tensioni, intorno a una torta sempre più piccola. Al tempo stesso, obbligano popoli in realtà molto diversi a subire un’unione politica prematura e frettolosa. Che tra l’altro escluderebbe i paesi fuori dall’Euro (Gran Bretagna), con tradizioni democratiche ben più profonde della Germania. Tutto questo perché, invece di adattare le politiche economiche alle necessità del mondo, preferiscono piegare il mondo alle loro dottrine. Un gruppo di fanatici “di centro” tiene in ostaggio i popoli d’Europa

La dittatura di Draghi

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Il rialzo di ieri nei corsi della borsa e dei titoli di stato agonizzanti dimostra – meglio di qualsiasi discorso – chi sono i responsabili della crisi finanziaria, qual è la sua natura, e come si risolve.

E’ bastato che Draghi e Novotny parlassero, senza fare nulla, senza spendere un Euro, perché i mercati finanziari passassero dall’ennesimo crollo all’euforia.

Figuriamoci cosa succederà se dalle parole lor signori si degneranno di passare ai fatti. Sta lì, nella BCE, il potere di risolvere o meno la crisi. Il che implica una responsabilità morale enorme: finora non lo hanno fatto. Potevano farlo, ma non lo hanno fatto.

 

 

La ritirata ordinata, orchestrata dalla Bce

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Stiamo assistendo alla ritirata dei neoliberisti, davanti all’incalzare… della realtà. Di fronte a questa mera eventualità, i mercati esultano, ed io con loro. Ricordo le previsioni ‘neolib’: (1) L’austerità riporterà la fiducia nei mercati finanziari e reali, cancellando gli spread, e rilanciando la crescita. (2) L’avvio delle “riforme strutturali” avrà lo stesso effetto. (3) Le banche centrali non possono fare molto contro la crisi. Infatti (4) l’aumento della moneta provocherà iperinflazione; il rischio vero da cui bisogna guardarsi è finire “come lo Zimbabwe”; l’aumento dei prezzi delle materie prime non è temporaneo ma segnala l’avvio di un processo inflattivo globale. (5) Le politiche di sostegno alla domanda, finalizzate a compensare la caduta della spesa privata e a sostenere le vendite delle imprese, saranno inefficaci. (6) Una delle ragioni è la seguente: la crescita dei debiti pubblici in tutto il mondo spingerà i tassi d’interesse reali alle stelle al netto degli spread – cioè nei paesi privi di ‘rischio default’: USA; Germania, Giappone, UK, ecc.

Tutte queste previsioni sono state smentite dai fatti; invito i lettori a verificare. Gente in buona fede concluderebbe: il modello che utilizziamo non funziona, dobbiamo cambiarlo. Si, cominciano a farlo: ma di nascosto, confondendo le acque. Come nelle dittature, dove la realtà è quella indicata dal Potere, le situazioni comiche si moltiplicano. Un esempio sono le contorte motivazioni con cui Draghi prepara l’opinione pubblica tedesca alla “svolta” della BCE (speriamo) in arrivo.

Draghi avrebbe finalmente trovato un pretesto per “aggirare il mandato” della BCE, e “salvare l’Euro” abbattendo gli spread: “Spread elevati riducono l’efficacia dei meccanismi di trasmissione della politica monetaria”. Quindi la BCE ha il diritto di abbatterli; l’efficacia della politica monetaria – il cui unico obiettivo, per la BCE, è “la stabilità dei prezzi” – deve essere preservata ad ogni costo!

Qualche sommessa domanda. Perché gli spread ora disturbano la politica monetaria, e prima no? Perché ieri gli interventi della BCE non potevano che essere “limitati e temporanei”, e ora no: la BCE farà “tutto il necessario per salvare l’Euro”? Perché prima “i poteri della BCE” erano deboli e “limitati… abbiamo solo guadagnato tempo… Tocca ai governi…”; mentre ora Draghi assicura: quel che faremo “…credetemi: sarà abbastanza!”? Perché la BCE si preoccupa del meccanismo di trasmissione ora, quando vede un’inflazione “vicina e sotto al 2% a fine 2012”, non quando cresceva ben oltre il 3%? Infine: se il mandato della BCE è inadeguato, perché non dirlo? Lo stesso Draghi non ha forse più volte invocato (p.es. Dicembre 2011) altre modifiche ai Trattati EU? E poi, basterà abbattere gli spread per “salvare l’Euro”?

I veri motivi della svolta sono altri: la strategia liberista é fallita. Le barzellette di Draghi meriterebbero di essere seppellite da una risata, se l’ideologia in ritirata non fosse ancora pericolosa! Gli Eurocrati guidati dalla BCE si apprestano a:

  1. Abbassare gli spread ma, temo, solo un po’, e con meccanismi “costosi”. Così mantengono la pressione su Governi e Parlamenti, e allarme fra la gente. Se qualcuno non avesse ancora capito che gli spread sono una variabile politica, c’è sempre tempo!

  2. Conservare il più possibile gli attuali meccanismi istituzionali dell’Eurozona. è la loro Europa: la vogliono sufficientemente “flessibile” da consentire ai loro modelli di funzionare. Il che è impossibile. Non succede neanche in America.

In poche parole: dopo averla fatta grossa, di fronte al mondo allibito, questi signori sono nell’angolo. O usano le ‘famigerate’ politiche keynesiane per uscirne – inclusa la banca centrale prestatrice di ultima istanza - o distruggono l’Euro. Dall’angolo cominciano a uscire, ma lentamente, coprendosi con foglie di fico, confondendo le carte. Per salvare non solo l’orgoglio personale, ma anche le riforme tecnocratiche, e la forma attuale delle difettose istituzioni europee, a fronte dell’ormai prevedibile ondata di ritorno dei popoli Europei, che chiederanno conto di una crisi ormai chiaramente ‘europea’ e ‘monetaria’. Ed allora: ben vengano le aperture della BCE. Ma se credono che siamo disposti ad accettare altri dieci anni di deflazione, depressione, e disoccupazione, secondo me si sbagliano.

Lezioni tedesche

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Alcuni lettori credono che ce l’abbia con Monti o Draghi, o i liberisti. Non è così. Ce l’ho con le politiche che alimentano la disoccupazione, con le ideologie di ogni segno, con le manipolazioni della realtà, con l’ipocrisia. La propaganda filogovernativa attribuisce gli errori di Draghi sempre e comunque alla Germania. Ma quando uno dice e ripete delle cose e poi le fa, per me non ha senso immaginare che le fa solo perché costretto. L’astuzia politica e la prudenza vanno bene, ma alla fine a me sembra che la suprema astuzia sia il candore francescano di dire semplicemente la verità. E la “verità” ufficiale che Draghi ci ha offerto per mesi non regge più.

Comunque è vero, c’è anche una partita in corso fra i liberisti ”in via di moderazione”, come Monti e Draghi, e la Germania. E Draghi la sta giocando con una certa abilità e molta cautela. Una piccola chicca storica può aiutare a capire meglio la posizione tedesca.

Negli anni “20 la Francia svalutò fortemente il Franco. Quando nel 1929 la crisi rese la competitività un fattore economico decisivo, la Francia, in surplus commerciale, fu l’unico paese a mantenersi in buona salute (v. grafico). 

I francesi reagirono alla loro buona sorte impartendo lezioni agli altri paesi intrappolati nella “moneta unica” dell’epoca (gold standard) a livelli di cambio più alti. Il Primo Ministro Tardieu dichiarò: “la Francia merita l’ammirazione di tutti” per la sua “struttura economica armoniosa… la parsimonia tipica dei francesi, la capacità di adattamento, la modernità, il coraggio…”. La Francia si definiva “L’Ile hereuse” – isola felice -; il bilancio pubblico era in attivo senza bisogno di austerità.

I capitali affluivano, provocando un drammatico credit crunch nel resto d’Europa. Quando però gli altri paesi abbandonarono il gold standard, la musica per la Francia cambiò. Ogni riferimento alla svalutazione interna tedesca del 2000-2008, ai suoi enormi surplus commerciali, al mancato rispetto dell’impegno di ridurli, e alle lezioni che vengono da oltre Reno, non è casuale.

Il punto sulla crisi

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Il debito pubblico è più alto di quanto non scrivano i giornali: in Giugno sfiorava il 126% del Pil. Nel 2011, Berlusconi ha limitato l’indebitamento prosciugando la cassa. Ma nel Gennaio 2012 il debito ha ripreso a correre. Il Ministro dell’Economia Grilli ha un “Piano” per riportarlo sotto il 100% del PIL in cinque anni, ma Citigroup prevede che raggiungerà il 139% del Pil nel 2014. E i deficit/Pil del 2012 e 2013 saranno ben superiori agli obiettivi.

debito pubblico / Pil
Fonti: Per il Debito, Banca d’Italia, Supplemento al Bollettino Statistico. ISTAT, serie trimestrali PIL e interpolazioni.

Gli spread giocano un ruolo fondamentale nella deriva finanziaria dello Stato: 57 mld l’anno. Ecco i conteggi:

Le statistiche sono soggette ad un certo grado di manipolazione/interpretazione. Supponiamo infatti che il fabbisogno finanziario dello Stato nel periodo X sia 100. Se salgono gli spread, il Tesoro può offrire in asta:

(1) obbligazioni ‘alla pari’, alzando le cedole;

(2) obbligazioni con le stesse cedole, ‘sotto la pari’ per riportare i rendimenti effettivi al livello richiesto dai mercati.

Nel primo caso il Tesoro “nasconde” parte dell’indebitamento, emette obbligazioni per 100, e carica sui bilanci futuri un’elevata spesa per interessi. Nel secondo caso il Tesoro emette più debito, ma sui bilanci successivi gravano meno interessi.

L’Italia ha fin qui seguito una linea più vicina alla prima ipotesi, portando ad es. le cedole dei BTP decennali dal 4,75% del marzo 2011 al 5,5%. Gli spread di oggi peseranno sui bilanci futuri.

Se prescindiamo da questi giochi contrabili ed attualizziamo tutto, poiché
- lo Stato emette obbligazioni per circa 300 miliardi di Euro l’anno
- gli spread sulla maturità “media” del debito (6-7 anni) sono stati negli ultimi 12 mesi pari a circa 400 bp;
- ogni aumento degli spread di 100 bp costa al Tesoro il 5% del prezzo di emissione in asta, a parità di cedole,

si ottiene il costo vero degli spread nei dodici mesi, pari a circa
300*(0,05*400)/100 = 66 miliardi

In realtà, il costo è un poco inferiore: io calcolo 57 mld.

Anche la recessione - a fine anno potremmo registrare -3% – pesa sui conti pubblici. Se per ogni -1% di Pil il deficit aumenta di 0,5% del Pil, la recessione del 3%, causa un aumento del rapporto debito/pil del 4,6%. Inoltre, danneggia la capacità produttiva.


Ricordate? Le riforme strutturali dovevano garantire una crescita dell’11%. Ora chi può se ne va

Le politiche di Monti sono fallite, le promesse mancate. L’Italia paga con l’impoverimento. Monti lo sa. Nulla è più rivelatore delle sue stesse dichiarazioni: “Con Berlusconi, gli spread sarebbero arrivati a 1200”. Sì, e allora? Da quando Berlusconi è il termine di confronto per un buon premier? Nel 2013 l’austerità già nella pipeline continuerà a deprimere l’economia e la psiche: una cosa è fare sacrifici per un futuro migliore, altra cosa è entrare in un tunnel senza fine. Chi ha predicato meritocrazia dovrebbe trarne le conseguenze.

La stampa sussidiata continua a distorcere la realtà. Repubblica ad es. scrive che “la recessione era prevista da tempo dalle fonti autentiche e ufficiali”, tutto sotto controllo. Davvero? Ecco un grafico del Dicembre 2011 con le previsioni della Commissione Europea.


La Repubblica inoltre – confondendo – scrive che “la recessione dell’intero 2012, ormai statisticamente definitiva, è dell’1,9-2 per cento rispetto all’anno precedente”. Nossignori: questa è solo la recessione “già acquisita” a metà anno. Quanto alla disoccupazione,la Repubblicaspiega che “numerosi giovani rifiutano lavori dequalificanti” (sic!). In conclusione, “Tutto ciò ci tranquillizza”.

Scalfari vignetta

Eppure, la notte è più buia prima dell’alba. C’è speranza.

Continua la ‘ritirata ordinata’ dei liberisti (economisti inglesi: “abbiamo sbagliato: cambiamo strada, però non ditelo”; Scacciavillani: ‘noi liberisti uguali ai keynesiani’). Sono segnali importanti: la realtà comincia a fare breccia nell’ideologia.

Merkel ‘appoggia’ la Bce, che si prepara ad adottare una qualche variante del Piano anti spread che avevo proposto, per vie riservate, a chi di dovere, un anno fa: Bce prestatore di ultima istanza, in cambio di una stretta condizionalità, stabilita da un organo terzo: l’ESM, embrione di un’Authority Europea. E qui ci sarebbe del lavoro per il Pd: le regole dell’ESM sono, infatti, ancora da scrivere. È essenziale
– evitare un altro Patto di Stabilità “stupido”, pro-ciclico;
- verificare che la contropartita ai sacrifici sia adeguata: il diavolo sta nei dettagli. La Bce deve tagliare gli spread in maniera massiccia, e garantire un livello adeguato del reddito (PIL) nominale europeo.

Poiché la Bce ha mostrato di avvicinarsi alla soluzione, i mercati finanziari – come avevo previsto – hanno messo su un rialzo corposo e prolungato, invece del solito fuoco di paglia, smentendo quelli che ancora non hanno capito come si risolve la crisi. Rialzo fragile, perché gli sviluppi sono lenti, parziali, incerti, tardivi. Inoltre, l’annuncio di Draghi ha fatto crollare i tassi a due anni, ma assai meno quelli a 10 anni.

 

 

 


Segno che se sulla crisi finanziaria la Bce sta, forse, per imboccare la strada giusta, sui problemi economici sottostanti ancora non ci siamo.

“Grillo, dimmelo in faccia!”

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Non sono un beppegrillologo. Però ho buona memoria.

Dice Bersani: “Corrono sulla rete linguaggi del tipo: ‘Siete Zombie’… Sono linguaggi fascisti. Vengano a dircelo. Via dalla rete. Uscite dalla rete e venite qui a dircelo. Aggiunge Bersani: “Chi sottovaluta questo linguaggio deve leggersi un po’ di storia. Per esempio andare ad un certo anno, era il 1919, ricordiamolo bene”.

La critica di Bersani a Grillo appare tutt’altro che convincente.

Innanzitutto, Grillo chiese di candidarsi alle primarie del PD del 2009, che incoronarono Bersani. Insomma: provò a uscire dalla Rete, a venire lì, al Pd, a dire le sue ragioni. Ma venne respinto.  La stessa cosa, d’altronde, era successa a Di Pietro due anni prima. (Oh!, e i due outsider ammessi nel2007 a ‘sfidare’ la nomenclatura: venne consentito loro, tramite una serie di cavilli e regolamenti ad hoc, di presentare liste in non più dell’11% dei collegi).

In secondo luogo, secondo molti storici, la democrazia italiana andò perduta per l’inettitudine dei partiti democratici del tempo, e della loro classe politica.

Infine, per quanto il linguaggio di Grillo possa risultare sgradevole, pare francamente eccessivo paragonare i miti grillini alle squadracce fasciste. Con “zombie” intendono dire che non appena la gente avrà la possibilità di scegliere liberamente, superando le mille barriere frapposte al rispetto della volontà popolare, gli attuali dirigenti del PD – ‘rottami’, ‘relitti del passato’, dicono alcuni giovani nel PD – saranno spazzati via politicamente. Si può dissentire, certo: ma criminalizzare?

Perciò, è proprio sicuro Bersani di essersi comportato in maniera più democratica di Grillo? E’ certo che le sue parole non siano magari più gravi, gratuite, ed offensive, di quelle del suo interlocutore?

Nel dubbio, consiglierei a Bersani di calmarsi. E – a proposito di inettitudine – di mostrarci il suo Piano per portare il paese fuori dalla crisi, che ancora non l’ho visto. (Stessa richiesta a Grillo, Di Pietro, Vendola, Casini, Pdl, ecc.). Consiglierei, inoltre, al Segretario di preparare una lenzuolata di liberalizzazioni nel mercato della … politica. A cominciare proprio dal PD e dalle sue primarie ”chiuse”. Se i cittadini potessero scegliere davvero i propri rappresentanti, forse la classe politica sarebbe più rispettata, i linguaggi, più pacati, e i rischi democratici meno gravi.


Il Movimento 5 stelle potrebbe passare dal 15 al 30%?

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Arriva la nuova legge elettorale . I partiti vogliono un sistema elettorale “greco”, che regali un forte “premio di maggioranza” (15%?) al primo partito. In base ai sondaggi, il “premio” andrebbe al Pd: che otterrebbe, con il 25% dei voti, il 40% dei parlamentari. (Così si indebolisce la stabilità costituzionale, ma tant’è).
Lo scopo, nobile, della riforma è la “governabilità”, messa a rischio dall’avanzata del Movimento 5 Stelle, con il quale però i partiti tradizionali non sono disposti a collaborare. M5S vale oggi il 15-20%, e sottrae voti a tutti gli altri. Ma il Pd deve poter imbarcare un numero limitato di alleati, al governo, per contenere le beghe nella futura maggioranza. Come fare? Priviamo a giocare coi numeri. Centrisinistra “aperto”: Pd 25% + Casini 6% + Vendola 7% fa 36%: non va! La “Foto di vasto”: Pd 25% + Sel 7% +Idv 7% +Rc3% = 42%. Neppure. Una “Grande Coalizione”? Pd 25% + Pdl e If, 20% + UDC 6% = 51%: troppo poco.
Se però, grazie al “premio”, il Pd ottenesse il 40% dei parlamentari, tutte (o quasi) queste combinazioni diverrebbero possibili. E chi dovesse restare fuori conserverebbe un certo grado di influenza, perchè il Pd dovrà mantenere comunque viva un’alternativa, e quindi, per fare un esempio, buoni rapporti col Pdl perché Vendola ricordi che nessuno è insostituibile.
Ma che succederebbe se alla fine, il primo partito risultasse M5S? Con il 40% dei parlamentari, sarebbero obbligati a governare?! Oggi è un sogno, per alcuni; una catastrofe, per altri; “un grosso buco nero nella mia testa” per i più, gli agnostici, che non hanno idea di come governerebbe M5S. Potrebbe accadere? Come? Grillo lo vuole o no?
Semplificando, M5S ha finora offerto proposte su temi particolari: ambientali, locali, sulla moralizzazione delle istituzioni. Ha raccolto in cambio il voto di protesta, ha vinto qualche elezione locale. Per andare oltre deve rassicurare gli elettori che è in grado di governare il paese, perché:

  • Un Movimento tende ad avere un’agenda limitata e rigida; un partito di governo la adatta alle circostanze sorprendenti che la Storia presenta.

  • I problemi nazionali ed internazionali sono sistemici: molto più complessi di quelli locali o delle “single issues” (p.es. l’ineleggibilità in Parlamento dei condannati).
  • Non si governa da soli. Se M5S è incapace di dialogare e stabilire alleanze, il voto a M5S apparirà inutile. è la strategia di Bersani: delegittimare, isolare. Per fare alleanze bisogna rinunciare a parte delle proprie istanze e accogliere quelle degli altri, restando tuttavia compatti. Un gruppo parlamentare di “puri e duri” non va lontano, se è al governo; ma può fare bene l’opposizione.

Sono tempi duri: la gente non ha più voglia di mandare al governo guitti e buffoni, politici cialtroni, venditori di fumo. Vuole gente capace di risolvere i problemi. Non tanto in Parlamento – organo essenzialmente politico, di controllo e di impulso – quanto nell’Esecutivo. Che si troverà alle prese con problemi economici gravissimi; dei quali neppure Monti finora è riuscito a venire a capo. Ecco: per fare il grande salto, M5S dovrebbe convincere gli elettori di saper affrontare la crisi meglio di Monti. Altrimenti, tanto vale votare per ABC.
Finora l’ispirazione di Grillo è stata proprio quella di promuovere le competenze della società italiana tenute lontane dai partiti. Ma il salto di qualità richiesto dal livello nazionale è molto forte. Inoltre la competenza è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Come dimostra la scelta infelice di Napolitano: un esperto di Antitrust per affrontare una crisi che è invece tipicamente keynesiana. In realtà, competenza e politica vanno fuse assieme.

M5S può puntare al 30% (anche perché l’economia va male) selezionando candidati premier e ministri capaci di aggiungere qualcosa all’M5S attuale. Che abbiano, oltre agli obiettivi del Movimento stampati nel cuore, alcune caratteristiche:

  • Soluzioni innovative di alto livello sui problemi economici ed istituzionali dell’Europa e dell’Italia

  • Capacità di colloquiare con l’elettorato meno radicalizzato
  • >Disponibilità a confrontarsi nel merito, a dimostrare l’inadeguatezza dei partiti.

E qui cominciano i problemi. Soprattutto per Grillo. Un candidato premier “puro come una colomba, furbo (dialogante) come un serpente” farebbe ombra a Beppe Grillo, tanto più se ha successo. Potrebbe ‘impadronirsi’ del Movimento. E in caso di divergenza d’opinioni? Potrebbe (dal punto di vista di Grillo) ‘snaturare’ il Movimento?! Tutto ciò sarebbe doloroso per il fondatore, che ha sputato sudore e sangue per arrivare dov’è. Non per niente, tutti i partiti tengono lontano le grandi competenze, salvo lo stretto necessario, e solo se di provata fedeltà.
In queste settimane il Movimento 5 Stelle decide se vuole diventare grande. Per fare una rivoluzione democratica e civile, deve andare oltre Grillo. Ma non può farlo senza l’accordo dello stesso Grillo. Il quale, per darlo, dovrebbe rivelare qualità umane (umiltà, amore per il proprio paese, fiducia negli altri, disponibilità al sacrificio mediatico) davvero insolite.  

Equilibri multipli nella zona Euro

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Nel luglio scorso l’Euro arrivò a pochi giorni dal collasso. Poi avvenne qualcosa. Draghi parlò. “La BCE farà di tutto per salvare l’Euro e, credetemi, sarà abbastanza!” Da allora gli spread italiani e spagnoli sono calati di 100 punti e le borse sono salite del 20%, nonostante le incertezze create dalla Bundesbank. Amen. Si confronti ora l’efficacia delle parole di Draghi ‘a costo zero’ (open mouth operations) con quella dei 214 miliardi spesi nel 2° semestre 2011 sui mercati (open market operations). Allora gli acquisti di BTP e BONOS non fermarono l’avanzata degli spread, perché accompagnati da queste parole: “Gli interventi saranno temporanei e limitati … la BCE non può risolvere la crisi ma solo guadagnare tempo… Sta ai governi [fare] … le riforme strutturali”.

La lezione di quest’insolito ‘esperimento’ è conclusiva: per risolvere la crisi finanziaria non servono tanti soldi. Né riforme strutturali. Né austerità ad impatto immediato. Servono buone politiche monetarie. Riflettano i lettori che non danno rilevanza alla disputa fra economisti di orientamento diverso.

Si apre ora un mese decisivo. I mercati andranno a ‘vedere’ il gioco di Draghi. Se era un bluff, l’Euro crollerà. Se Draghi calerà una scala reale, gli spread italiani e spagnoli crolleranno sotto i 150 bp.; le borse faranno +50%, e la crisi finanziaria finirà hic et nunc. Nel giro di pochi mesi anche la crisi economica potrebbe essere superata.

Ma cosa farà realmente la BCE? C’è incertezza. Anche su molti dettagli cruciali. Giovedì, al termine del Consiglio Direttivo, non credo che Draghi si presenterà in conferenza stampa a mani vuote. Farebbe la figura del pirla. I mercati crollerebbero. La BCE perderebbe il controllo. E l’Euro sarebbe finito. Draghi lo sa. Lo ha spiegato alla Merkel. Non succederà. Ma temo che la BCE non calerà una scala reale, non farà “tutto il necessario”, bensì ‘il minimo necessario’. I falchi della Bundesbank e la destra europea (sì, è una crisi ‘di destra’!) non vogliono soluzioni pubbliche, che lo Stato intervenga: e la banca centrale è Ente Pubblico per eccellenza. Si sentono traditi dalla “ritirata” graduale  di Draghi dai sacri dogmi del laissez faire. Perciò sono furiosi. Come sempre si andrà al compromesso? Potrebbe essere la scelta peggiore. Provo a spiegarmi.

Aerial view of snowcapped Capitol Peak in Colorado's Elk Mountains

‘Equilibri multipli’: previsioni che si auto avverano. L’Italia è su un ripido crinale. Nella valle a sud c’è la salvezza. Nella valle a nord c’è l’abisso (default). Il crinale rappresenta la situazione limite, si riesce a stento a trattenere il debito. Ma basta una ventata di pessimismo per spingere il paese verso l’abisso: allora i mercati comprano meno BTP; gli spread salgono, i prezzi crollano; la caduta accelera: il pessimismo si auto-avvera. (E viceversa.) È successo nel Luglio 2011: l’Italia è rotolata giù, fino a metà pendio. (Ora, per tornare anche solo sul crinale, non basta un piccolo calo degli spread: prima, c’è molto da recuperare). Fortunatamente, la BCE ha fermato la caduta dell’Italia, dall’Agosto 2011 in poi, creando un terzo “equilibrio” artificiale, a metà della ‘parete nord’. Come? Ha mostrato di non tollerare spread oltre 500-550 bp., inducendo i mercati a comprare a quei livelli. Due chiodi piantati nella parete. Che però nel Luglio 2012 stavano cedendo: per la crescente pressione esercitata dal debito in aumento e dal PIL in calo. Costringendo la BCE a fare sempre di più per ‘reggere’ la situazione. Ma anche la BCE ha dei limiti. Ed è per questo che …

I falchi della Bundesbank hanno ragione. L’Europa “rischia l’iperinflazione”, “una nuova Weimar”, “Draghi è pericoloso”, ecc. Anche la CDU ha ragione: a dire “Nein!” a nuovi aiuti ai partner in difficoltà. La Germania è già esposta per 779 mld con i PIIGS tramite Target2: pari al 27% del suo PIL! Un default dei PIIGS trascinerebbe anche lei nell’abisso. Chi glielo fa fare?

L’anno scorso ironizzavo sulla “via liberista all’inflazione” : politiche depressive crollo finanziario ed economico debiti pubblici e privati (banche + clienti) insostenibili necessità di salvataggi sempre più grandi monetizzazione e/o altre catastrofi. Ora c’è arrivato anche Monti: bene.

I falchi vorrebbero togliere i ‘chiodi’ che ancora impediscono il crollo dell’Euro. E poi, trattenere il fiato, e vedere che succede. I keynesiani chiedono invece che i mercati finanziari vengano riportati all’ordine, l’Italia su un sentiero di chiara solvibilità (oltre il crinale, a sud), quei chiodi resi superflui. (Si fa così ). E che si usino piuttosto i soldi per rilanciare la crescita (come Roosevelt nel 1933).

Ma ‘gli estremi si toccano’: meglio imboccare una strada coerente, piuttosto che trascinare ancora la crisi, accumulando nuovi squilibri. La gente è stufa di questa moneta destabilizzante. Se resta in mezzo al guado, Draghi verrà comunque travolto, e noi con lui. Perciò è il momento di prendere qualche rischio. Anche personale.

PS. Ieri Draghi ha rimbeccato la Bundesbank, ed ecco l’effetto sull’Euro. Chiaro?

Effetto sull'euro delle parole di Draghi

Antispread, un compromesso alto

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Mario Draghi non ha deluso. Il suo piano di acquisto dei titoli pubblici dei paesi europei sotto attacco speculativo (OMT) cambia in maniera fondamentale la dinamica della crisi. Per la prima volta, la BCE annuncia interventi “illimitati” sulle obbligazioni pubbliche con durata da uno a tre anni dei paesi sotto attacco speculativo.

Illimitati: è la parola chiave. Paradossalmente, questo aggettivo consentirà alla BCE di spendere pochissimo. Nessuno, sui mercati, vorrà mettersi a combattere con la “superpotenza” della zona Euro, finalmente disposta a usare tutta la sua forza. È quello che i mercati chiedevano da tempo. Infatti, in poche ore i tassi a uno-tre anni sono crollati da soli – in Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda, ma anche Francia, Belgio, e altri paesi -, portandosi dietro (per “arbitraggio”, e per le migliori prospettive di sostenibilità dei debiti) anche i tassi a lungo termine. La annunciata sterilizzazione degli interventi (drenaggio della liquidità immessa, via maggiori depositi delle banche presso la BCE) è un dettaglio tecnico (ma rassicura chi in Germania teme effetti inflazionistici), che non limiterà la portata degli interventi.

La svolta ideologica è enorme. La BCE di fatto accetta, per la prima volta, di fare il “prestatore di ultima istanza” degli Stati membri, così come nel Dicembre 2011 (LTRO) aveva fatto col sistema bancario europeo. Per gestire il moral hazard – Continuerò a spendere senza limiti, se so che mi salverai - si abbandona l’idea insana di tornare al laissez-faire ottocentesco e alla ‘disciplina del mercato’ - Farai più attenzione a prevenire incendi, se sai che i pompieri non ti aiutano - e si torna alla civiltà finanziaria, raggiunta dopo dure esperienze nel sec XX.

Che cosa è cambiato in Europa? Cosa ha reso possibile questa svolta? È mutato il quadro politico. Da un lato la vittoria Hollande (spesso sottovalutata), le pressioni di Obama e del G20, l’avanzata nei sondaggi delle sinistre europee, l’aggravarsi continuo della crisi (che lambisce ormai la Germania), hanno costretto i leader europei a riconsiderare i rischi di rottura dell’Euro, o di una loro marginalizzazione politica. D’altro lato, la maggiore serietà delle politiche di bilancio in alcuni paesi (Italia: riforma delle pensioni e Decreto ‘Salva Italia’, Dicembre 2011) hanno consentito alle posizioni moderate in Germania di emergere. L’élite politica e la maggior parte del popolo tedesco, ad eccezione dei falchi liberisti, non sono contrari a che la BCE aiuti i paesi in difficoltà: a condizione che i soldi non vengano sprecati.

Perciò l’EFSF verrà trasformato in un piccolo FMI: porrà condizioni ai paesi che chiederanno l’intervento della BCE. Ora, è davvero cruciale che la condizionalità non sia pro-ciclica: che non si chieda austerità in tempi di recessione, né si disperdano i ‘tesoretti’ in tempi di crescita. È inoltre importante, per la tenuta democratica dell’Europa, che le riforme strutturali (salvo quelle del bilancio pubblico) siano escluse dalla condizionalità. La crisi non dev’essere un pretesto per smantellare lo Stato Sociale: tocca a ciascun paese decidere la dimensione del suo welfare, i diritti dei lavoratori, ecc.. Nel 2008, l’Islanda rispose alla condizionalità del FMI con una controproposta, che fu esaminata con equanimità e accolta: così dev’essere. Monti spera che l’annuncio di Draghi basti a ridurre gli spread: ma sarebbe meglio, per il bene dell’Europa, aprire una vertenza su cosa è la buona condizionalità.

È opportuno citare anche i limiti del ‘Piano Draghi’. L’ideologia della disciplina del mercato è solo attenuata: la BCE punta a ridurre gli spread del 30% rispetto ai livelli attuali, lasciando intatta parte della “punizione” inflitta dai mercati. Quest’obiettivo è tardivo, appena sufficiente a riportare Italia e Spagna sul crinale della sostenibilità, ma non risolve del tutto la crisi finanziaria. Tantomeno quella economica, alla base di tutto. Non abbassando i suoi tassi, infatti, la BCE invia un brutto segnale ai mercati reali. Proprio l’aumento della domanda e, se possibile, dell’inflazione tedesca, sarebbero le medicine giuste per rilanciare la crescita, e per riequilibrare i rapporti di competitività, in Europa.

L’inadeguatezza della governance europea e dello Statuto della BCE continueranno ad alimentare la speculazione. Ma la settimana prossima si discuterà della supervisione bancaria comune… Alla Grecia verrà forse offerto un po’ di tempo in più per fare nuovi tagli… Per oggi, accontentiamoci. 

 

Recessione, candore a metà

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Continua la lenta ritirata dell’ideologia liberista. Nel Novembre 2011, com’è noto, la strategia annunciata da Monti fu: ‘Austerità e Riforme Strutturali’.

Fece tre promesse :

  1. Abbatteremo gli spread, in fretta

  2. Non ci sarà nessuna grave recessione

  3. Il PIL potenziale - la capacità produttiva - aumenterà anche dell’11%

Corollari della strategia: non c’è bisogno di chiedere

  • BCE nel ruolo di ‘prestatore di ultima istanza’

  • politiche di stimolo della domanda “effimere”.

Risultati conseguiti.

  1. SPREAD – Monti (20 Luglio): “Era nostra speranza che sia il risanamento che le riforme strutturali generassero gli effetti positivi sui mercati in termini di riduzione dello spread e dei tassi… purtroppo, questa è la principale delusione, questo movimento in discesa c’è stato (solo grazie ai soldi-tampone della BCE, ndr) ma si è prima arrestato e poi addirittura invertito 

  1. CRESCITA – Monti, 2 Maggio : all’Italia «non basterà poco tempo, per quanto possano essere brillanti i governi, perché la nostra scarsa crescita deriva da peculiarità culturali del nostro Paese», e “non si realizza senza interventi radicali… che non sono stati fatti per decenni». Ma ora Monti ci dice che i provvedimenti per gli obiettivi (1) e (3) “hanno aggravato una congiuntura già difficile (lui la chiama “rallentamento”). Lui sapeva: “Solo uno stolto poteva pensare” il contrario. 

  1. Almeno, la capacità produttiva del paese sta crescendo?! I sacrifici non sono vani?! Vediamo. 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ‘rallentamento’ ha provocato il crollo degli investimenti. Le imprese riducono la capacità produttiva: perché rinnovare i macchinari quando non ci sono clienti

L’effetto sulla sostenibilità del debito pubblico emerge nel grafico qui sotto (dati mensili). Per anni, fino al 2008, il debito è cresciuto assieme al PIL, restando a un livello poco superiore. Con la crisi globale, il crollo della domanda ha fermato la crescita del PIL (nominale). La divaricazione fra debito e PIL ha reso il primo insostenibile. Si noti negli ultimi sei mesi (Gen–Giu 2012) l’accelerazione impressa al debito dagli spread, mentre la recessione piega il reddito nazionale.

debito pubblico e pil

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Cosa si poteva fare in alternativa? Austerità, ma ad impatto ritardato. Sostegno alla domanda con politiche a impatto zero sul bilancio. Soprattutto, un vero leader avrebbe indicato con chiarezza all’Europa una via d’uscita (e i guadagni di ciascuno); avrebbe aperto un dibattito su soluzioni efficaci, confidando che il tempo sarebbe stato galantuomo.

Ora Monti è in mezzo a un guado. Sarà attaccato a causa della sua sincerità. Ma la sua sincerità ci può salvare. Nel Vangelo leggo: “La verità vi farà liberi”. Nessun altro, nell’élite al potere, sembra in grado di dire la verità: né Alfano, né Bersani, né Casini, né Napolitano, né Montezemolo, né i grandi giornali. La verità è che il c.d. “breve termine” si sta dimostrando più lungo, le sue conseguenze più nefaste, di quanto non credessero Monti e Draghi. Chi era quello che diceva: “Nel lungo termine, siamo tutti morti”?

Monti dice e non dice, minimizza, chiede alle parti sociali di togliere le castagne dal fuoco; perché non vuole trarne le conseguenze. Ma se dicesse: “Mi sono sbagliato, è colpa mia”. Se ne traesse le conseguenze di politica economica. Se presentasse all’Europa un “Piano Verità” keynesiano – cioè incentrato sul c.d. ‘breve termine’ che breve non è, sulla domanda, sul PIL. Se ne traesse le conseguenze anche sul piano della governance europea, anche per fermare definitivamente gli spread. In quel caso, l’impatto sarebbe enorme. Un uomo che ammette i suoi errori pubblicamente acquista una forza straordinaria. Se vede chiaro, diventa leader. In caso contrario, si vada subito a votare. Non si sprechi quest’ultimo periodo di relativa calma procurato dalla BCE.

Due banche centrali a confronto

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Ieri la Federal Reserve ha annunciato un nuovo programma di rilancio dell’economia. L’obiettivo è ridurre la disoccupazione, che è all’8% ed è “una grave preoccupazione”. Non solo perché il livello è “abnorme”, ma anche perché “da sei mesi ha smesso di scendere”. Dice  Bernanke: “L’alto livello della disoccupazione dovrebbe preoccupare ogni cittadino americano. Non solo crea enormi sofferenze e difficoltà, ma causa anche un enorme spreco di capacità e talenti”, e una “progressiva distruzione di queste capacità, a danno non solo dei disoccupati e delle loro famiglie, ma anche del benessere di tutta la nazione”.

Per raggiungere il suo scopo la Fed cerca di accelerare la crescita stimolando la domanda (= la spesa totale nell’economia). Tramite due target intermedi. In primo luogo, (oltre a tenere i tassi di policy a zero) cerca di comprimere una serie di tassi d’interesse a lungo termine (mutui, ecc.) in diversi settori, già molto bassi. A tal fine lo strumento utilizzato è l’aumento della liquidità. In secondo luogo, la FED indirizza le aspettative sulla crescita futura. Lo strumento che utilizza – “il più potente” – è la ‘comunicazione’. Bernanke ha annunciato che la ‘spinta’ della FED continuerà “almeno fino a metà del 2015”, e comunque “per molto tempo dopo che l’economia avrà ricominciato ad accelerare”. Così le imprese possono avere fiducia: sanno che se investono oggi troveranno nuovi clienti domani.

Bernanke ha spiegato che gli acquisti di titoli pubblici non sono affatto una monetizzazione del debito: “Noi non finanziamo spesa pubblica: acquistiamo attività finanziarie che rivenderemo al momento giusto… La nostra azione non aumenterà, bensì ridurrà il deficit pubblico”, grazie ai profitti della Fed e alla ripresa economica. Quanto all’inflazione, un giornalista tedesco ha chiesto se non ci sono rischi. Ma Bernanke ha spiegato che quando (a) c’è disoccupazione e (b) le aspettative di inflazione sono basse, i rischi non ci sono.

La BCE deve fronteggiare una situazione assai più grave. La disoccupazione in Europa è all’11%, e continua a salire. Al punto che la stabilità della stessa moneta è in dubbio. Eppure la BCE si disinteressa totalmente della disoccupazione, della crescita, della domanda. Tiene alti i tassi di policy. Ha varato un tardivo piano anti-spread, ma sterilizzerà eventuali aumenti della liquidità. Con la ‘comunicazione’ mira anch’essa ad aumentare la fiducia sul futuro, ma solo relativamente all’inflazione: perciò le imprese Europee sanno che se oggi investono, domani i prezzi dei loro prodotti saranno bassi, ammesso che trovino clienti.

Il 6 Settembre scorso la BCE ha fatto un passo avanti importante, accettando (tardivamente) il ruolo di prestatore di ultima istanza (negli USA è talmente ovvio che nemmeno si discute). Ma è rimasta in mezzo al guado: cura la finanza, ma non l’economia; e la finanza, senza l’economia, ignora la forza della gravità: a nostro rischio e pericolo!

willy il coyoteLa depressione della domanda rende inutilizzata tanta capacità produttiva: impossibile per i governi rispettare gli obiettivi di deficit. Perciò l’idea che ‘se un paese non rispetta gli accordi, la BCE rinuncerà a difenderlo sui mercati’ diventa pericolosa per la stessa stabilità finanziaria. Ma la BCE si muove in linea con il suo Statuto, sulla modifica del quale Draghi dice: “è già impegnativo stabilizzare i prezzi … non aggiungerei un secondo obiettivo”. Invece la Fed ha due obiettivi: stabilità dei prezzi e occupazione. E ieri Bernanke ha detto: “Abbiamo strumenti che riteniamo possano influenzare il livello dell’occupazione: pensiamo sia nostro dovere utilizzarli”.

All’origine di tutto c’è una ideologia. In Germania sono diventati tutti esperti di politica monetaria. Reagiscono istericamente alle manovre minimaliste della BCE, influenzando i politici e i rappresentanti tedeschi alla BCE: che non sono bravi economisti bensì funzionari del partito della Merkel. Molti lettori hanno difficoltà a capire cosa sia il liberismo in macroeconomia, e perché è importante. Hanno la sensazione di trovarsi di fronte a un linguaggio ideologico. Invece, sto parlando dell’origine dei nostri mali, e dei blocchi sulla via d’uscita. Il laissez faire nei confronti della disoccupazione (della domanda) è l’idea centrale del liberismo in macroeconomia. È l’idea di Monti, e della BCE. È un’idea sbagliata secondo Bernanke. Che non è particolarmente keynesiano o di sinistra: tanto è vero che è stato nominato da George W. Bush.

Ecco perché quel che succede da noi ha poco a che vedere con la democrazia: non occorre fare dietrologia. La gente non vuole disoccupazione. La FED ‘risponde’ ai bisogni della gente. La BCE, no; perché non è un problema dell’élite europea. E Monti può tranquillamente dirci: i miei provvedimenti? Certo che hanno aggravato la disoccupazione. Solo uno stolto poteva credere il contrario!

Una risposta a Scacciavillani sull’Euro

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Ringrazio Fabio per il suo post sull’impraticabilità di un referendum sull’Euro, perché ci offre l’occasione di un confronto.

In questi mesi, il dibattito sull’economia ha avuto un’evoluzione. La vastità, la profondità, la pericolosità della crisi europea, la sua unicità hanno reso evidente che il problema nasce dall’Euro. Appena fuori dall’Eurozona, Danimarca e Polonia vanno benissimo. Il Giappone, con il 180% del debito/Pil cresce al 3,4% con solo il 4% di disoccupati. Moltissimi paesi con problemi strutturali più gravi dei nostri crescono veloci: il Ghana di oltre il 10% l’anno, ecc.. Ma Spagna e Portogallo vanno male (per problemi originariamente causati dai capitali tedeschi con l’avvento dell’Euro) pur avendo un debito pubblico più basso della Germania. L’evoluzione del dibattito mi evita di dover tornare su tutto ciò.

L’Euro, dunque, è disfunzionale. Le sue regole e le sue istituzioni furono create negli anni “90 sulla base della teoria macroeconomica neoclassica (di cui Fabio, come Mitt Romney è un convinto assertore). Questa teoria ha un problema: non ritiene possibile un crollo, per di più duraturo, della domanda aggregata e dell’occupazione (Lucas: ‘la disoccupazione o è solo settoriale, o è volontaria’): perciò non offre terapie in casi simili. Ma nel 2008 il crollo c’è stato. Mentre il resto del mondo ha avuto la possibilità di reagire, l’Eurozona no, perché le sue istituzioni (e la cultura dei responsabili) non sono attrezzate all’uopo. Allora che si fa?

Vi sono tre risposte possibili, che dividono i commentatori, anche del Fatto Quotidiano:

1) Tenersi l’Euro così com’è, con la crisi, per molti anni ancora (Scacciavillani).

2) Riformare  l’Euro, le sue istituzioni e regole, dopo aver riconsiderato le teorie alla base. E risolvere la crisi in fretta, mantenendo l’Euro. (La mia preferita)

3) Uscire dall’Euro e affrontare la bufera, per non soffocare lentamente (Bagnai)

Fino a pochi mesi fa, la prima ipotesi era basata su argomenti positivi: ‘Faremo ripartire la crescita’, ‘Faremo scendere gli spread’, ecc. Ma la realtà è stata brutale: la recessione e l’avvitamento degli spread e dei conti pubblici hanno tolto ogni credibilità a questi argomenti. Sono rimasti gli argomenti negativi: ‘le alternative sono impraticabili’, ‘questa crisi è il migliore dei mondi possibili’. Questi argomenti, che Bagnai definisce ‘terrorismo psicologico’, sarebbero da prendere sul serio se fossero veri. Lo sono?

La mia prima richiesta è stata una BCE che accettasse apertamente il ruolo di ‘prestatore di ultima istanza’ degli Stati nazionali. In contrasto con le tesi di Fabio, affermavo che gli spread sarebbero crollati senza alti costi per la BCE. Lo scorso Luglio la BCE è stata costretta a rompere con la ‘lettera’ dei Trattati, e a intraprendere quella strada. In “Draghi spara solo coriandoli” Fabio sostenne che il tentativo di piegare gli speculatori sarebbe fallito. Ma da allora le borse hanno segnato +30%, gli spread sono crollati. Fabio aveva inoltre espresso il timore che una simile svolta avrebbe comportato la monetizzazione dei debiti e l’iperinflazione “come in Zimbabwe”. Ma la BCE non ha ancora speso un euro.

La mia (e di altri) seconda richiesta era: stimolate la domanda, fate politiche per l’occupazione. Ed è sorta una strana asimmetria: noi non avversiamo le politiche dell’offerta; Fabio e l’establishment EU avversano strenuamente le politiche della domanda. Vorrei poter entrare nella loro testa per capire il perché. Sia come sia, il risultato è quello da noi previsto: spirale negativa, disoccupazione, degrado dell’offerta (!), debito in crescita. Dalle parti di Italia Futura si avverte lo stesso disprezzo per le politiche della domanda. Eppure Milton Friedman aveva liberato i conservatori da questa perniciosa avversione. Le riforme strutturali si possono fare lo stesso, anzi meglio, se c’è l’occupazione; e l’Italia ha gran bisogno di una destra non solo ‘nuova’, ma anche seria.  Ho scritto che la crisi finanziaria è risolvibile in una settimana e quella economica in sei mesi. La Storia mi da ragione. I recenti sviluppi sui mercati finanziari lo confermano.

Nell’ultimo post Fabio se la prende con l’ipotesi 3. Ma, come in altre occasioni, si confronta non con le migliori tesi (o rappresentanti) della controparte, bensì con quelle peggiori e più facili da ridicolizzare. L’analisi di Fabio è esatta, scontata. Ma il punto è quello sollevato da un suo commentatore, che si firma xxx: “Non provo alcuna stima verso i personaggi citati nell’articolo … e un’uscita dall’euro … [senza] preparazione… sarebbe senza dubbio improvvida. Tuttavia, non posso non constatare che … l’unica argomentazione portata a favore dell’euro è un generico ‘perché senza sarebbero guai!’” Cos’ha dimostrato Fabio? Non certo che uscire dall’euro è sbagliato. Per farlo, deve confutare le proposte migliori! E se gli ‘incompetenti’ si immischiano in ‘questioni più grandi di loro’, non sarà anche un po’ colpa dell’autismo degli economisti? 

Monti forever

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L’austerity applicata in Europa coincide perfettamente con la definizione clinica della follia: ripeti all’infinito lo stesso errore, sperando che il risultato sia diverso” (Arianna Huffington). Dopo la spirale negativa in Grecia, Irlanda, Portogallo, e Spagna, ecco il caso Italia.

Nell’aprile 2011, il governo Berlusconi prevedeva una crescita nel 2012 pari a +1,3%. Ma già in giugno chi scrive previde una recessione del -1,8%. In Settembre il governo rivide le stime ufficiali: +0,6%. Poi venne Monti: nella relazione di accompagnamento alla manovra del dicembre 2011 la previsione fu: -0,4%. Ma nell’Aprile 2012 il DEF produsse una nuova stima: -1,2%. Il 7 luglio il Presidente di Confindustria previde: -2,4/-2,5%. Monti replicò indignato: “Simili dichiarazioni fanno salire gli spread!” Aggiunse Montezemolo: “Le sue parole fanno male al Paese“. Controreplica di Squinzi: “Il governo ha paura della verità”. Finché il 20 Settembre il governo pubblica le nuove stime: Pil -2,4%.

Il governo ha dunque completamente mancato gli obiettivi di crescita 2012. E nel 2013 come andrà? In aprile il governo prevedeva un +0,6%; ma oggi prevede -0,2%. E veniamo all’impatto sociale. La disoccupazione, secondo il governo, dovrebbe salire al 10,8% quest’anno e all’11,4% nel 2013. Ma la Cassa integrazione segna +18% in agosto anno su anno (dati Inps). E al Ministero dello Sviluppo Economico i tavoli aperti sulle crisi aziendali medie e grandi, Fiat inclusa, si avvicinano a 200.

Come valutare con obiettività i risultati economici del governo? La strategia annunciata non aveva come primo obiettivo la crescita di breve termine, bensì, nell’ordine, (1) la riduzione del deficit pubblico e il contenimento del debito pubblico; e (2) la crescita potenziale di lungo periodo, ovvero la crescita della capacità produttiva del paese. Si può essere d’accordo o meno, ma è questo il metro sul quale il governo ha chiesto di essere valutato.

Rispetto alle previsioni, il deficit 2012 (-3,9% del Pil nel 2011) in aprile veniva dato a -1,7%, ora viene dato a -2,6%. Così pure, nel 2013, 2014, e 2015, il deficit previsto lo scorso aprile sale ora di circa un punto, passando da -0,5%, -0,1%, e 0% a – 1,6%, -1,5%, e -1,4%. Il debito pubblico, nelle stime di aprile 2012 doveva scendere nel 2015 al 114,4% del Pil, ora è previsto ancora al 122.9%: più alto che nel 2011 (120,7%).

Quanto alla capacità produttiva, nel dicembre 2011 si prevedeva per quest’anno una variazione prossima allo zero degli investimenti fissi lordi. Già in aprile, si stimava un calo del -3,5%. Ora il governo dice che probabilmente dovremo registrare un tonfo del -8,3% (macchinari: -10,6%). Per non parlare del capitale umano che si deteriora o emigra.

La conclusione, dal punto di vista fattuale, è che i risultati del governo Monti si discostanno in maniera molto forte dagli obiettivi previsti, su tutti gli indicatori selezionati. Il deficit migliora, ma si riesce a malapena a stabilizzare il rapporto debito/PIL; la sua riduzione non è neppure in vista. Il rilancio della capacità produttiva: sta funzionando al contrario. I costi economici e sociali: superano ogni aspettativa (del governo).

Dove nasce il pesante scostamento fra obiettivi annunciati e risultati ottenuti? Il governo ha una sua spiegazione: la “causa” è il “peggioramento dello scenario internazionale”. Ma le sue stesse cifre smentiscono questa spiegazione: le esportazioni italiane, infatti, continuano a crescere (l’Euro debole compensa il rallentamento globale; che comunque per il FMI è causato dalla recessione europea, non viceversa), e rappresentano l’unica voce positiva della domanda aggregata, come sottolinea anche il Presidente dell’Istat: le previsioni 2012 sono le stesse di aprile: + 1,2%; il contributo delle esportazioni nette alla crescita è +2,3%.

Non resta dunque che la spiegazione alternativa offerta – con molto anticipo sugli eventi – dai critici della politica di Monti. Il quale

  • Sul piano dell’economia reale, ha sottovalutato i rischi di caduta della domanda aggregata: sia nel disegnare le politiche economiche domestiche; sia nei negoziati europei. Assieme ad una austerità mal distribuita sul piano temporale e sociale, ciò ha causato una recessione abnorme.

  • Sul piano finanziario, ha sopravvalutato la capacità delle sue riforme di far scendere gli spread, e ha sottovalutato l’importanza cruciale di affidare alla Bce il ruolo di ‘prestatore di ultima istanza’. Si è limitato perciò a chiedere un ‘Fondo salva Stati’ la cui irrilevanza è stata palese in questi mesi. La Bce con un semplice “BUUUH!” ha infine ridotto gli spread. Ma l’Italia nel frattempo ha pagato un costo altissimo: secondo il governo, 8 miliardi nel 2013, 11 miliardi nel 2014, e via crescendo, oltre a una ‘spiacevole’ riduzione della durata media del debito pubblico.

  • Sul piano diplomatico, ha firmato un Fiscal Compact senza chiedere contropartite alla Germania, sperando invano in ammorbidimenti successivi.

Per il futuro, il governo prevede “una ripresa della domanda” nel 2013-14. (La caduta della domanda ha buttato giù Pil e occupazione). Su che basi? La ripresa della domanda globale e le riforme strutturali – dice il governo - stimoleranno la domanda interna. Ma non si capisce perché le riforme strutturali dovrebbero stimolare la domanda se non l’hanno fatto finora. Monti continua ad annunciare crescita in futuro: così, se la crescita ci sarà, sarà grazie alle sue riforme, se non ci sarà, sarà colpa dei governi politici che gli succederanno.


Primarie: il centrosinistra non fa sognare, ma fa proposte

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Non c’è da aver paura della democrazia. Il centrosinistra esce rafforzato dal dibattito in Tv fra i suoi candidati alle primarie, perché tutti e cinque hanno cercato di presentare soluzioni ai problemi, in forte contrasto con i 10 anni di comunicazione ‘vuota’ da parte del centrodestra. Il fact-checking ha dato risultati positivi: non ci hanno raccontato balle. Complimenti a Bersani (Renzi) perché, pur con i sondaggi nettamente dalla sua (loro) parte, ha accettato il confronto davanti agli elettori. Veltroni nel 2007 rifiutò, per poi trovarsi senza argomenti l’anno successivo, quando Berlusconi gli negò il dibattito in Tv.

Sull’economia, Vendola e Bersani hanno capito meglio degli altri la necessità di cambiare le strategie europee e nazionali. Vendola - “Il rigore non sia cieco” – ha avuto buon gioco nel limitarsi a criticare il modello liberista. Bersani non ha capito che in Europa bisogna battere i pugni e, per farlo, occorre usare tutti gli argomenti negoziali; “Non si rinegozia il Patto di Stabilità”: perché no? Però ha ragione su questo: “Direi alla Merkel e agli altri leader progressisti: … controlliamoci i bilanci, ma in cambio di un allentamento dell’austerità”. Teme di sfasciare l’Europa. ma dovrebbe accorgersi che “il progetto Europa sta deflagrando” (Vendola). Tabacci: “Sono il più montiano”. Anche Renzi montiano, ma per slogan e luoghi comuni: “Rinegoziare il patto di stabilità? Anche solo dirlo è un danno all’Italia”. Puppato ha fatto un po’ di filosofia: “No al Pil, sì al Bil”; bene che ci sia, ma non ha mostrato di aver messo insieme le competenze necessarie per competere in una elezione nazionale. Favorevoli a una moderata redistribuzione dei redditi (in ordine crescente): Bersani Puppato Vendola. Nessuno ha parlato della squadra economica che intende schierare.

Altro tema; i costi della politica. Tutti cercavano di dimostrare che vogliono ridurli, perciò bisogna saper leggere tra le righe. Per Renzi, i tagli dalla politica “non si misurano in miliardi” e perciò non possono risolvere i problemi, sono importanti solo come “segnali”: inadeguato. Però bene l’idea di mettere un “tetto agli stipendi nel settore pubblico”. Vendola: buona l’idea di ridurre i costi delle campagne elettorali; ma forse non sa che alcune norme ci sono già e sono disapplicate: doveva dire come applicarle e non l’ha fatto. Bersani: “superare le province”, “mettere l’occhio sulle 6.000 società miste pubblico-privato”, “dimezzare il numero dei parlamentari”: generico. Ma promette una legge applicativa dell’Art.49 Cost. (sulla democrazia nei partiti). L’idea di Tabacci di “ridurre a 1/4 i finanziamenti pubblici” è stata condivisa da tutti, in fondo anche dallo sgusciante Renzi (“ma rispettiamo il referendum”). Nel complesso, tutti i candidati hanno proposto riforme serie (province, vitalizi, ecc.) ancorché parziali.

Chi “ha vinto”? Secondo me, Bersani. Perché la crisi economica è il problema N.1., e su questo tema è il più rassicurante e al tempo stesso il più convincente. È l’unico che propone con chiarezza una svolta keynesiana (pur nei limiti stretti in cui l’Italia si deve muovere), senza però rompere con l’Europa.

In conclusione: il Pd non fa sognare (bastano 10 anni di Berlusconi?). Però fa proposte. E dimostra di essere in grado se non altro di offrire al paese una prospettiva di governo forse di qualche efficacia. E gli altri?

Alternativa al Montismo cercasi

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Nel post ‘Monti Forever‘ illustravo la sequenza di previsioni sbagliate dal governo Monti. Si tratta di fatti su cui c’è poco da discutere. Conseguenze:

  • Gli annunci del governo Monti assomigliano a quelli di Berlusconi. Poi si sa come va a finire.

  • L’esperienza del 2012 rende poco credibili gli annunci governativi di un ‘ritorno alla crescita’ nel 2013.

  • Questi annunci imbellettati raccontano comunque un paese che resterà in profonda depressione. Misurare la crescita dal punto di minimo, invece che dall’apice, è una manipolazione mediatica priva di senso economico (altrimenti basta creare una grande recessione e poi chiamare ‘crescita’ un piccolo rimbalzo).

  • Il punto più importante, dove casca l’asino, riguarda la finanza pubblica. Dopo tutte le manovre di Monti, il deficit sarà quest’anno il 2,9% del PIL, più alto del tendenziale (2,5%, stimato dal Ministro dell’Economia, 6/12/2011) lasciatoci da Berlusconi.

L’articolo che abbiamo pubblicato ieri sul Sole 24 Ore illustra l’interpretazione che il Fmi dà di questi avvenimenti. In estrema sintesi: con la depressione la politica di bilancio acquista molta forza. Tanta forza, che l’austerità non solo deprime il PIL e l’occupazione: li deprime a tal punto da peggiorare - dopo un iniziale effimero miglioramento – il deficit pubblico (rispetto al PIL).

Il Fmi spiega che quello che capita a noi sta capitando in tutti i paesi che adottano politiche come le nostre. E presenta un grafico in cui mostra che gli eccessi di ottimismo sono tanto maggiori quanto più la strategia di risanamento punta sull’austerità. Che vuol dire? Vuol dire, dice il Fondo, che quei governi usano una teoria economica, sempre la stessa, che è sbagliata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Si tratta di una spiegazione politicamente devastante, perché si traduce in una condanna senza appello delle strategie del governo Monti e dell’Europa. Confermata non solo dall’autorevolezza degli economisti del Fondo monetario (che fanno mea culpa, scrivono di essere stati i primi a sbagliare!), ma anche dalla vasta letteratura empirica sviluppatasi in questi anni, con decine di studi econometrici che hanno preceduto il rapporto shock del Fmi, confermando quei risultati (anzi, di più). D’altronde, basta guardare con un po’ di buona fede questo grafico: evidenzia che il decoupling fra America e Europa coincide perfettamente con la svolta europea del 2010-11 verso l’austerità. Ne consegue la necessità, in Europa, di una strategia alternativa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 Fonte: Moody’s

Non ho molto da aggiungere rispetto a quanto abbiamo scritto sul Sole. Salvo due punti.

Primo - Molti ideologi delle politiche dell’austerità e dell’offerta fanno ora a gara per smarcarsi dal fallimento Europeo. Ma si tratta di un inganno: in realtà ripropongono varianti delle stesse politiche screditate. Uno di questi purtroppo è Mario Draghi. Ieri all’inaugurazione della Bocconi, dopo diversi ammiccamenti (citazione di Baumann, frecciatine alla Germania) per accreditarsi come ‘il nuovo che avanza’, ha posto con chiarezza il problema: ‘Quale aggiustamento fiscale, dati gli effetti recessivi dell’austerità?’. Ha risposto citando un paper isolato di Alesina, in cui l’autore sostiene che alzare le tasse è recessivo ma tagliare la spesa no; e propone di tagliare tasse e spesa (di più). Ciò ridurrebbe la domanda aggregata (la propensione alla spesa del bonus fiscale è inferiore al taglio di spesa pubblica): ma Alesina conta sui soliti presunti effetti di ‘fiducia’ e di offerta. Ho scritto infinite volte che i problemi dell’offerta ci sono, in tutti i paesi del mondo e anche in Italia: ci sono sempre stati, e vanno affrontati; Monti dev’essere lodato per avere iniziato. Ma il Fmi, tanto per essere chiari, sta dicendo tutt’altro: individua il problema centrale nella depressione della domanda, e chiede che venga stimolata anziché depressa. Non è facile reagire a questi insidiosi tentativi di manipolazione culturale, ma volevo farlo presente.

Secondo – Quelli che parlano di ‘alternativa’ al Montismo non sono credibili se non mettono su una squadra economica con i fiocchi, in grado di precisare le strategie alternative. Invece, Di Pietro continua a chiedere il certificato penale ai candidati. Non ha capito. Idem alcuni candidati alle primarie. Renzi per esempio parla di promuovere al livello nazionale una squadra di ‘bravi amministratori’: uh?! Quanto a Grillo, un ‘referendum sull’Euro’ non è ancora una politica economica. Se vincono i no, come si sopravvive con l’Euro? Se vincono i sì, come si esce dall’Euro (è difficilissimo!) minimizzando i danni? La chiusura verso le grandi competenze della società, bollate come ‘opportunisti dell’ultim’ora, che vogliono salire sul carro dei vincitori’ sarebbe l’inizio di una nuova casta, l’apice di un Movimento che, da quel punto in avanti non potrebbe che declinare. Ci pensino. Perché all’orizzonte del 2013 vedo addensarsi nubi.

Chi ha fatto scendere gli spread?

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La domanda è importante perché – contrariamente a quanto sostiene Silvio Berlusconigli spread ci stavano divorando. (In realtà, lo stanno ancora facendo, però più lentamente: ma questo è un altro discorso). Sulla questione degli spread si misura una parte importante della valutazione del governo Monti, e delle strategie future proposte dai partiti.

Ho già illustrato come le politiche di austerità (con sorpresa di Monti) abbiano peggiorato gli andamenti tendenziali 2012 e 2013 (stimati dal governo il 6/12/11 e il 19/4/12) di tutti gli indicatori economici: deficit, debito pubblico, Pil, redditi, disoccupazione, Pil potenziale (= crescita futura). Su tutte queste variabili ormai la discussione è chiusa: ci sono i dati. Perciò il Presidente del Consiglio si aggrappa al calo degli spread. Perché è vero: gli spread sono calati, dai massimi di Novembre 2011 e Luglio 2012. Se fosse merito di Monti, o delle sue politiche di austerità, non sarebbe poco.

Monti è arrivato: gli spread si sono fermati e, dieci mesi dopo, sono calati. Ma la causalità è tutta da dimostrare. In realtà, quando Monti ha varato le sue politiche gli spread non sono scesi: hanno continuato a salire! È successo a fine Novembre, mentre il Parlamento approvava la manovra ‘salva Italia’, e di nuovo fra Aprile e Luglio, dopo le ‘riforme strutturali’. È stato Draghi a piegare gli spread. Nel primo bimestre del 2012, la Bce inondò i mercati di liquidità: come avevo previsto, i risultati furono effimeri. In estate, Draghi utilizzò le parole (giuste) al posto dei soldi e, come avevo previsto, i risultati furono meno effimeri.

Monti ha avuto un ruolo non secondario nell’accordarsi con la Bce e – contrariamente a Berlusconi – nel rispettare i patti. Inoltre, ha fatto anche manovre ad di finanza pubblica impatto differito. Potrebbe limitarsi a questo. Ma no! Monti vuole salvare l’idea dell’austerità, l’Agenda Monti, le regole balorde di un’Eurozona da rifondare. I dati economici hanno confutato le sue previsioni? Dunque le sue teorie sono in frantumi? Persino il Fmi certifica che l’austerità hic et nunc è un errore madornale? Tanto che neppure la Commissione Europea si azzarda a chiederci nuove manovre correttive (a fronte della debacle dei conti pubblici)?! Però ‘l’austerità almeno ha ridotto gli spread’. Ma è vero?

Dice Monti : ‘Se fosse solo merito della Bce, come mai in Agosto-Ottobre 2011 la Bce pur intervenendo non è riuscita a far calare gli spread, mentre in Gennaio-Marzo 2012 ci è riuscita?’ Risposta: nel primo caso la Bceha speso 200 Mld., nel secondo caso sei volte tanto. Ma aggiunge Monti, sottile: ‘Nel 2011 gli spread dell’Italia erano superiori a quelli della Spagna, oggi sono inferiori. Eppure la Bce è sempre la stessa per i due paesi. Perciò al netto della Bce, almeno il miglioramento rispetto agli spread spagnoli è dovuto alle nostre politiche’. Eh sì. Sottile. Ma sofistico. Quale dei due paesi ha fatto la maggiore austerità? La Spagna. Se l’austerità riducesse gli spread, la Spagna avrebbe dovuto aumentare il suo vantaggio sul’’Italia, non viceversa. Il ragionamento di Monti dimostra dunque il contrario di quello che il premier sostiene: l’austerità (in quanto peggiora le condizioni di finanza pubblica) fa salire gli spread (al netto della funzione di reazione della Bce).

Riassumendo, nella vicenda degli spread il governo Monti ha due meriti: (1) aver inflitto dosi di austerità inferiori, rispetto a Spagna e Grecia; (2) aver ottenuto l’intervento della Bce. Ma quanto abbiamo osservato sui mercati finanziari non riabilita affatto le politiche di ‘austerità ad impatto immediato’ in depressione economica; né l’Agenda Monti; né la condizionalità pro-ciclica di Draghi. E allora, restano solo gli artifizi verbali del Presidente del Consiglio (parla di ‘rallentamento’ della crescita, quando è pura decrescita; si attribuisce meriti sugli spread superiori a quelli reali); la timidezza di Bersani e Hollande e gli annunci di un avvenire migliore, sempre rinviato.

Perché Monti non dovrebbe ricandidarsi

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La strategia economica di Monti è in frantumi. Non così l’Agenda Monti: essa è viva e vegeta. Chiarire quest’ossimoro può aiutare a trovare risposte giuste.

La Banca d’Italia ha pubblicato l’altro ieri un dato sconvolgente – dovrebbe esserlo – sul cui significato i commentatori hanno benevolmente sorvolato: il debito pubblico ha superato i duemila miliardi. Il significato del dato è illustrato dal grafico qui sotto, che mostra l’andamento del rapporto fra debito e Pil, l’indicatore fondamentale per valutare le condizioni della finanza pubblica.

Rapporto tra debito pubblico e Pil

Vedete anche voi quello che vedo io? In termini finanziari, io vedo un debito che esplode. In termini economici, vedo un Pil che continua a calare (con annessa l’occupazione). In termini politici – Monti disse:  ‘fate sacrifici per mettere a posto la finanza pubblica’ -  vedo un fallimento.

I dirigenti pubblici ‘firmano’ gli obiettivi dell’anno entrante. Se non li raggiungono perdono una fetta cospicua di stipendio, talvolta anche il posto. Vero, il sistema è largamente disapplicato. Per fortuna, perché la valutazione non funziona! Perciò le sanzioni ‘dure’ consentono più che altro di piegare i dirigenti con la schiena dritta. Ricordate ‘la cricca’? Lo scandalo venne fuori grazie all’outing di un gruppo di dipendenti ‘onesti’. Spero che in futuro anche la P.A. italiana si darà un sistema di valutazione indipendente e qualificato, in grado di incentivare il merito. Monti è il vertice della P.A. Si era dato degli obiettivi per il 2012; li ha falliti; non di poco, di una enormità. Se si ricandida, dimostrerà che fallire gli obiettivi non conta nulla. E allora, che fine farà la battaglia meritocratica? Nessuna riforma strutturale è più importante di questa.

Ad onor del vero, secondo il FMI il nostro premier è in folta compagnia: gli obiettivi macro  – scrive – sono stati clamorosamente falliti da tutti e solo i leader che hanno seguito la ricetta ‘austerità + riforme strutturali’ (e no, non ha nessuna importanza in depressione la percentuale di tagli e di tasse: non esiste un solo studio che confermi questa idea, messa in giro dai soliti noti). Ma il fatto che Monti e l’Europa seguano teorie economiche sbagliate non consola. Sia chiaro, Monti ha fatto molto meglio di Berlusconi: la recessione iniziò nell’estate 2011. Ma il punto non è questo: è che la ‘strategia Monti’, benché migliore, è inadeguata rispetto ai problemi, ed è nettamente inferiore ad alcune delle alternative possibili.

Questo non significa che l’Italia sia necessariamente destinata a cadere in una spirale senza fine. A un certo punto le auto si rompono e la gente deve ricomprarle. A un certo punto, la crescita dell’America di Obama e Bernanke – non quella del fiscal cliff – ci aiuterà. A un certo punto, i nostri salari saranno così in basso da rendere competitive le nostre merci. E il debito, gli spread? Gli spread dipendono dalla Bce: da quando Draghi ‘uomo dell’anno’, uhm…, si è degnato di dire ‘basta!’ a metà, gli spread sono crollati a metà. Si può continuare per anni col debito in crescita e spread bassi: vedi Giappone (e no, non c’entra nulla che gli investitori esteri detengano quote ridotte di debito giapponese). Insomma, davanti a noi non c’è una tempesta: ci sono le sabbie mobili.

L’agenda Monti è un’altra cosa. È un tentativo serio di portare l’Italia – grazie alle riforme microeconomiche strutturali – fuori da un declino epocale (un problema di ‘offerta’, diverso dalla attuale crisi della domanda). Si può criticare l’eccesso di enfasi sull’economia, sulla promozione della concorrenza nel mercato dei beni e servizi piuttosto che nel ‘mercato della politica’; o una scarsa propensione per l’equità… Ma sono dettagli… (si fa per dire). L’esempio di serietà riformista, di coraggio (di fronte a un Parlamento spesso ostile), di onestà personale, i criteri seguiti per alcune nomine (Rai) valgono, in prospettiva, di più.

Se Monti si candida a premier, proporrà agli italiani di ingoiare, assieme a una strategia microeconomica di un certo valore anche una strategia macroeconomica scadente, una terapia medievale del salasso: forse diranno di no all’intero pacchetto?! E invece le due cose andrebbero scisse (Pronto! Casini, Luca Cordero, Olivero?). Se non si candida, la sua sempre possibile discesa in campo sarà un pungolo continuo per la maggioranza. Inoltre Monti dimostrerà di saper riconoscere i propri limiti (errori?). Sarà ‘riserva della Repubblica’ (se rinuncia anche alla Presidenza della Repubblica). Lascerà ai partiti la possibilità di ‘crescere’ in qualità (potrebbe chiedere loro di candidare economisti, giuristi, leader dell’associazionismo; dopo le elezioni, potrebbe chiedere molte altre cose in nome del senso dello Stato, unendo invece di dividere). Lascerà spazio a nuovi leader europei, se ve ne sono, del calibro di Adenauer e De Gasperi, in grado di co-rifondare l’Eurozona: lui non ne ha la statura, quel che poteva dare l’ha dato. Rispetterà una parola data. E darà un esempio di umiltà (troppi si credono indispensabili, in questo mondo) e di distacco da poltrone e potere. 

Tutti con Mon-TINA…o no?

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In conferenza stampa, mentre sosteneva che l’Italia è uscita dalla crisi finanziaria, Monti ha ricordato con fastidio “i grafici che alcuni giornali vi mostreranno … su certe variabili…”, che confutano quella tesi. “Ma come si può pensare che, avendo dovuto fare interventi pesanti, aumentando le tasse, tagliando le spese, la crescita non ne avrebbe sofferto?”. Ben detto! E chi ha pensato, detto, scritto, una cosa del genere? Ricordiamolo: fu quel Ministro dell’Economia che il 6/12/2011 firmò il decreto ‘Salva Italia’. Quelle valutazioni ottimistiche, diciamo pure fantasiose, furono alla base delle politiche adottate.

Se Monti aveva capito le conseguenze economiche delle sue politiche, perché nel Dicembre 2011 mentì al paese? Se invece non aveva capito, perché oggi rivolta la frittata e tenta di attribuire ai suoi critici le sue fantasie? Perché non si può avere un dibattito onesto? Di fronte alla crisi in atto, quale credibilità ha un leader che per sua ammissione (dati e parole sue) mente al paese, o è “uno stolto”?

Monti ha anche criticato quelli che pensano che sia stata la BCE, non lui, a far calare gli spread, ricordandoci, grazie, che la BCE non sarebbe intervenuta se l’Italia non avesse fatto austerità. Ciò non toglie che le politiche di austerità fossero in parte sbagliate; perciò andavano contrattate, non applicate con entusiasmo. Inoltre, all’interno delle indicazioni della BCE c’erano margini per politiche meno depressive. Ad es. alzare l’Irpef sui redditi oltre 100.000 euro, invece che le accise; o tagliare i costi della politica (questo fallimento è colpa dei partiti, ma non solo); o varare tagli strutturali ad impatto differito. Dagli errori dovremmo trarne lezioni, non arroccamenti.

Apparentemente, oggi Monti se l’è presa con Berlusconi: facile bersaglio. (Speriamo che a destra regolino definitivamente i conti con il caudillismo neofascista, sostituendogli un rassemblement liberale europeista, con solide radici nella Destra Storica e nella Costituzione). Ma si tratta di un’astuzia: in realtà Monti cerca di prevenire critiche simili all’Europa e alla sua Agenda da parte di altri: ‘se lo fate, dirò che siete come Berlusconi’. È campagna elettorale? Di più: cerca di delegittimare, di spegnere ogni identità alternativa. Vuole impersonare tutto: ortodossia e opposizione. Perciò racconta: ‘in Europa ridono di chi mi attribuisce una sintonia con Merkel’. È l’ennesimo minuetto degli eurocrati, divisi sui dettagli ma uniti sulla mediocre strategia neoliberista. Quando la strategia fallisce più e più volte – il successo o fallimento di una strategia si misura sempre con lo scostamento dagli obiettivi enunciati –, allora rispondono come Monti: TINA!

Ma il centro-sinistra, a partire dal Pd; non cada nella trappola. Non si lasci schiacciare sull’Agenda Monti: essere contro l’Europa delle destre neoliberiste non significa essere contro l’Europa. Il tono generale della proposta Monti è ‘alto’; contiene molte buone cose. Ma sui nodi fondamentali della crisi e dell’Europa, Bersani ma anche altri devono darsi un progetto alternativo (Vendola: non basta dire ‘alternativa’!), e svelare l’inganno di TINA. Altrimenti, fra l’Agenda Monti e una brutta copia, gli italiani sceglieranno l’originale. Neppure bisogna farsi schiacciare sulle posizioni anti capitalistiche, fuori dalla Storia, dei post comunisti, o dei ‘conservatori di sinistra’ denunciati da Monti. Ma il dibattito sulla crisi non riguarda solo gli economisti. A Monti in realtà interessa poco se il PIL scende del 2,4% invece che dello 0,4%, e la disoccupazione viaggia verso il 12%. Monti ha altre priorità: questo distingue una destra da una sinistra. Bersani non può far finta di non accorgersene: tradirebbe la sua Storia, e il suo popolo. 

Ora come non mai, il Pd e gli altri partiti e movimenti sono chiamati ad affermare la loro identità. Per avviare la liberazione dell’Europa dal gruppo di estremisti neoliberisti a la carte che ne ha assunto il controllo, e guidare il paese fuori dalla crisi. Grillo, fra i tanti, non sembra aver capito la lezione che viene dal crollo dell’IDV (dove Di Pietro ancora una volta ha tenuto fuori le intelligenze e gli esperti, determinando un  voto progettuale che, a ben vedere, è all’origine della sua implosione). E infatti la sua progressione nei sondaggi sembra arrestarsi, ondeggiare. La gente ha problemi seri, e vuole soluzioni serie. Man mano che si va avanti nella campagna elettorale, questo aspetto conterà sempre di più.

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