Quantcast
Channel: PierGiorgio Gawronski – Il Fatto Quotidiano

I prossimi anni saranno difficili per l’economia globale: gli elettori devono votare senza illusioni

$
0
0

Gli italiani sono preoccupati per il loro benessere. Ma forse, non abbastanza. I prossimi anni saranno difficili per l’economia globale; non è un bel momento per sognare: il risveglio potrebbe essere duro. Per difendere i livelli di benessere gli elettori faranno bene a mettere alla guida del governo un presidente del Consiglio molto capace di gestire l’economia. Possibilmente sostenuto da una classe politica non incline ad aprire guerre di religione, a dividere il Paese sui fondamenti del vivere civile.

Oggi l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale è focalizzata sulle borse (crollano), le banche centrali (alzano i tassi d’interesse), l’inflazione, la crisi energetica. Il presidente della Fed americana ha avvertito solo pochi giorni fa che intende alzare i tassi d’interesse più del previsto e ciò metterà in crisi la crescita e l’occupazione (“pain”). Ma altri problemi – soprattutto in altri continenti – complicano ulteriormente la situazione.

La mega bolla speculativa di borse, criptovalute e obbligazioni sta scoppiando, lasciando una scia di mutui e debiti privati che, con l’economia ferma, sarà più difficile onorare. La gente perciò risparmierà di più e consumerà di meno. Nello stesso momento, i governi di tutto il mondo stanno avviando una fase di austerità fra le più gigantesche che il capitalismo ricordi, per rientrare dai debiti creati durante la pandemia. Si tratta di altre due spinte recessive che si sommano a quelle delle banche centrali.

L’Europa e il Giappone, grandi importatori netti di energia, subiscono l’aumento dei prezzi internazionali del petrolio e del gas (+650% dai minimi del giugno 2020): il loro surplus commerciale è praticamente svanito. Correttamente, la Bce aspetta ad alzare i tassi d’interesse, per guidare prima al ribasso il cambio dell’euro: direi che ormai quasi ci siamo. Ma altri Paesi, soprattutto africani, subiscono l’impennata dei prezzi dei fertilizzanti e dei cereali: i governi ne sono destabilizzati (Sri Lanka). Anche l’economia cinese è avvolta in una ragnatela di problemi che vanno dal Covid alla crisi del mercato immobiliare.

A complicare il quadro ci si mettono i problemi “di lungo termine”, dall’invecchiamento delle popolazioni alla crisi climatica fuori controllo. La crisi idrica aggrava le crisi energetica, agricola, e sanitaria; la “transizione verde” è in stallo quasi ovunque perché mette sotto pressione le terre e i metalli rari, producendo altra inflazione.

In questo quadro di stagflazione e tendenziale de-globalizzazione, l’Italia non è un “vaso di coccio”: molti paesi poveri sono più fragili. I Paesi ricchi, quando certe risorse diventano scarse, pagano un prezzo più alto e si accaparrano ciò di cui hanno bisogno. L’Italia inoltre, in conseguenza delle politiche di austerità del decennio scorso, ha pagato tutto il suo debito estero; anche il saldo commerciale (nonostante l’energia) è ancora leggermente positivo. L’inflazione sotto la media europea mantiene la competitività. Ma il Bel Paese ha le sue fragilità e rischi.

Il primo rischio sono le spinte disgregatrici. È il momento di essere uniti, come italiani, come europei e occidentali. La Russia comincia a capire di non poter vincere con le armi la guerra (mondiale?) iniziata in Ucraina, ma conta ancora di vincere dividendo e destabilizzando il fronte delle democrazie dall’interno; a cominciare dall’Italia. Smentire queste aspettative è il miglior contributo che gli elettori italiani possono dare alla pace, premessa di un allentamento delle crisi summenzionate.

Il debito pubblico è (con l’energia) il nodo economico principale, perché i margini di manovra sono ora limitatissimi. Si suole citare “il rischio” che gli spread (l’interesse che lo Stato paga sul debito pubblico) salgano. Ma in realtà gli spread sono già molto alti (230 bp sul Btp decennale), un livello che non esiste altrove nel mondo sviluppato (se i tassi decennali sono parametrati ai “tassi di policy”): lo Stato italiano regala ai “cravattari” dei mercati finanziari circa 10 miliardi ogni anno (sottratti alle famiglie); e le imprese italiane pagano caro il credito. Anche le prospettive appaiono precarie. Le attuali regole (Maastricht) limitano le possibilità della Bce di contenere gli spread, destinati ad aumentare con l’incedere della recessione. In questo frangente, il rispetto delle promesse elettorali (ridurre le tasse, alzare gli stipendi, sterilizzare le bollette, ecc.) rischia di essere un boomerang.

Sarà cruciale per l’Italia partecipare alla discussione sulla riforma delle regole dell’euro, che si è aperta di recente. Con una visione su come azzerare (quasi) gli spread senza aggravare i problemi di azzardo morale, cruciali in ogni unione monetaria. Si tratta di proporre un cambio di paradigma radicale, che rimuova il nodo che soffoca l’Italia, ma al tempo stesso sia più che accettabile per gli altri Paesi membri; gli spazi per la politica di bilancio seguirebbero. Ma attenzione agli apprendisti stregoni.

Quando il gioco si fa duro, è il momento di schierare i duri. Oppure, di pagare conti salati. Gli elettori hanno in mano una parte cospicua del proprio destino. Occorre mettere da parte paura, rabbia, avidità per le mance politiche, e votare con freddezza, in modo adulto, senza illusioni. Tanto richiede la difficile navigazione nel mondo in tempesta.

L'articolo I prossimi anni saranno difficili per l’economia globale: gli elettori devono votare senza illusioni proviene da Il Fatto Quotidiano.


Putin inneggia all’autoritarismo e deride i diritti umani. La guerra all’Ucraina riguarda anche noi

$
0
0

Notizie dall’Ucraina. “Purtroppo in quei nostri territori che sono stati recentemente liberati dall’occupante, in particolare nella regione di Kharkiv, si scoprono terribili scene di torture e abusi della popolazione civile. Conosciamo tutti le città di Bucha, Borodyanka, Irpin, Hostomel vicino a Kyiv. Ma quello che si presenta agli occhi a Izyum e in altre città della regione di Kharkiv, può essere decine di volte peggio” (Ševčuk, Arcivescovo di Kiev). “I russi intensificano gli attacchi contro le infrastrutture civili, anche se non hanno alcun impatto militare” (Intelligence britannica). “Quattro operatori sanitari sono morti… durante un bombardamento russo a Strelecha (Kharkiv) contro un ospedale psichiatrico” (O. Sinegubov). Da sette mesi quotidianamente, i russi infliggono agli ucraini indicibili violenze: bombardati, torturati, assassinati, affamati, (bambini) rapiti, deportati in Siberia, arruolati a forza, derubati, privati delle infrastrutture vitali…

Le notizie sono confermate da decine di Ong specializzate, centinaia di inviati della stampa internazionale, migliaia di immagini satellitari e video, dall’Onu, da confessioni di soldati russi, dalla coerenza con i comportamenti in altri teatri (Aleppo, Grozny, ecc.), dalle contraddizioni dei leader russi. I russi minacciano pure gli Usa se questi forniranno all’Ucraina missili a lungo raggio (304 km) che “potrebbero colpire città russe”. Missili che invece la Russia usa continuamente senza problemi contro le città ucraine.

Per quanto sgradevole, è importante definire la natura delle azioni russe e dell’ideologia sottostante. È una nuova forma di nazi-fascismo? Secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: “La tortura era una pratica diffusa nei territori occupati. Questo è ciò che hanno fatto i nazisti. Questo è ciò che fanno i russi. E risponderanno allo stesso modo, sia sul campo di battaglia sia nelle aule di tribunale. Identificheremo tutti coloro che hanno torturato, umiliato, che hanno portato queste atrocità dalla Russia qui, nella nostra terra ucraina”. Per l’ideologia, basta ascoltare Putin, che vuole rifare l’impero Zarista (cioè l’impero romano, come Mussolini; “Czar” è la versione russa di “Cesare”).

E considera: i piccoli paesi vicini, “colonie”, “privi di vera sovranità”; l’Ucraina “un’entità artificiale” che non ha diritto di esistere; i liberali russi “traditori”; le democrazie “regimi deboli e decadenti” (forse perché discutiamo alla luce del sole, e non osiamo praticare la pulizia etnica); la guerra ibrida di cui siamo oggetto da anni (propaganda, corruzione, destabilizzazione), premessa della “inevitabile guerra”: i paesi democratici mettono in testa strane idee di “libertà” ai suoi sudditi. Ecco il “nuovo ordine mondiale” di Putin e Xi. Qualcuno tuttavia crede ancora che dare del fascista a Putin non si può. Come un ignoto moderatore che, in calce a un post di Loretta Napoleoni, ha ritenuto di dover censurare il termine “nazi-fascista” in un mio modesto commento. Si legge: “Quando si scatena un attacco globale n*** così grave come quello di Putin e dei suoi gerarchi, qualche sacrificio economico è il prezzo minimo da pagare per conservare la libertà”. Indicativo.

Il direttore, pacifista, di Avvenire, Marco Tarquini, dichiarò a La7 in marzo: “Se Zelensky avesse accettato il passaggio offerto dagli americani [per evacuare da Kiev assediata, lasciando la capitale ai russi], oggi la guerra sarebbe finita e avremmo la pace”. Questo signore, che moraleggia indignato su chi sostiene l’Ucraina, non ha capito che “pace” non è mera assenza di combattimenti, ma relazione di reciproco rispetto. Fosse per lui, oggi l’Ucraina sarebbe un immenso lager. È importante capire. Perché se siamo di fronte a un nuovo fascismo, la storia c’insegna molte verità scomode. I fascisti sono un lupo: si traveste da agnello per confondere le menti deboli. Aggrediscono prede isolate e indifese, una dopo l’altra. Rispettano solo chi si fa rispettare. Fare compromessi su libertà e sovranità è miope. La fermezza è il modo migliore per contenere il virus della guerra.

La libertà va difesa come hanno fatto i nostri padri… Ecc. Il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis preme per l’invio di carri armati in Ucraina: “Le parole non sono riuscite a prevenire le fosse comuni. La sola condanna non porrà fine a questo genocidio”. Negli ultimi 20 anni i baltici hanno spesso avvertito del rischio di recrudescenza dell’imperialismo russo: sono stati derisi. Nello stesso periodo, giungevano per motivi diversi alle stesse conclusioni la scuola realista (Limes) e … la propaganda russa; la Russia avrebbe attaccato … per “difesa preventiva”! Grazie alle ammissioni di Putin oggi sappiamo che avevano ragione i baltici. C’è un lavoro sporco da fare, e non sarà breve.

Putin inneggia all’autoritarismo, all’imperialismo, deride i diritti umani e la dignità della persona; in realtà tradisce “i veri valori russi” (umanità, sentimenti, cultura). Molti russi si oppongono come possono alla guerra e all’autocrate; molti soldati rifiutano di combattere, o di eseguire gli ordini più obbrobriosi. Ma molti altri si rendono disponibili. C’è un problema di dirigenza, ma anche un problema di Russia profonda che, con le bombe atomiche in giro, non può essere ignorato. Il lavoro da fare non è solo militare, ma non può essere lasciato a metà. Né possiamo illuderci che, in un mondo globalizzato, una guerra del genere non ci riguardi. La politica italiana in questi giorni vende sogni a prezzi di saldo: diffidate!

L'articolo Putin inneggia all’autoritarismo e deride i diritti umani. La guerra all’Ucraina riguarda anche noi proviene da Il Fatto Quotidiano.

Giorgia Meloni, i miei consigli non richiesti per un buon governo. Partirei subito da tre questioni

$
0
0

Dopo il risultato ottenuto da Fratelli d’Italia e alleati nelle elezioni politiche di ieri, la nomina di Giorgia Meloni a Presidente del Consiglio è ormai poco più che una formalità. L’evento – storico – sarà anche memorabile, o meno, a seconda di come la destra governerà. Le precedenti esperienze non sono state positive, né per l’Italia né per la destra stessa, tanto da concludersi spesso precocemente. Ora si aggiungono forti turbolenze internazionali, e un Paese indebolito dalla pandemia. Perciò la destra merita l’incoraggiamento generale e un “periodo di grazia”, in cui dimostrare di voler e saper governare per il bene comune. Più della dispersione di poltrone e denari pubblici agli “amici” (che stimola sempre nuovi appetiti e scontenti), ciò potrà dargli slancio e compattezza.

A mio avviso, tre sono le questioni su cui da subito, e nel primo anno, si misurerà la statura del nuovo Presidente del Consiglio, e riguardano l’economia e le istituzioni. Esse sono: (1) Gli investimenti pubblici del Pnrr; (2) I rapporti con l’Europa; (3) Le eventuali riforme istituzionali.

Per quanto riguarda il primo punto, è stato detto che il Pnrr andrebbe “rivisto” (Tremonti) o “rinegoziato” (Boeri). Ma in verità, non ci sono più i tempi tecnici (Franco) e si rischierebbe di perdere molti soldi. Meglio allora non cancellare quel che è stato fatto, accantonare le obiezioni ideologiche sulle destinazioni dei fondi; e partendo da qui andare avanti. Per essere precisi: il Pnrr è un’occasione storica che non si ripeterà per decenni; i soldi non dovrebbero essere sprecati né usati male; le P.A. hanno bisogno di altro tempo per affinare e implementare i progetti di investimento: più di quanto non è disposta a dare l’Europa. Ma se il governo vorrà alzare la qualità, senza illusioni dovrà schierare subito negoziatori di alto livello tecnico e diplomatico; ed un nucleo tecnico centrale a supporto delle amministrazioni più deboli.

Per quanto riguarda l’Europa, i precedenti governi di destra si sono scontrati con l’Ue, venendone destabilizzati (dall’aumento degli spread); e l’Italia ha subito seri danni economici e finanziari. Sarebbe pertanto un grave errore di presunzione sottovalutare ancora questa problematica. Per evitare che la Storia si ripeta, il Presidente del Consiglio potrebbe avvalersi di figure tecniche di rilievo anche politico, adeguatamente supportate (da uno staff qualificato) con accesso diretto alla sua persona e a quella del ministro dell’Economia. Queste figure dovrebbero contribuire in modo decisivo al disegno delle politiche macro-economiche, perseguendo gli obiettivi del governo ma nella “stabilità”.

È solo il caso di ricordare che i negoziati con l’Ue saranno continui, e non riguarderanno solo il bilancio dello Stato e le “riforme strutturali”, ma investiranno anche le cruciali “regole europee” (monetarie innanzitutto, e fiscali) che tanto ci penalizzano (lo spread è a 230bp e toglie già così allo Stato italiano una decina di miliardi l’anno). Esse vanno riscritte urgentemente (per generale ammissione), ma negli ultimi 25 anni l’Italia non ha proposto nulla di significativo (Bankitalia e MEF essendo ambienti di alto livello culturale ma conservatori, perché legati al fatale Trattato di Maastricht), per l’assenza di una visione profonda sulle soluzioni possibili e sul come arrivarci.

Per quanto riguarda le riforme istituzionali, infine, premetto: io lascerei perdere la Costituzione. La destra rappresenta una minoranza di italiani: una minoranza non si fa la “sua” Costituzione. Sarebbe il modo migliore per alzare la tensione, spaccare il Paese, nascondere i veri problemi, indebolire il governo. D’altronde, le riforme costituzionali non hanno mai portato fortuna a chi le ha promosse. Ma forse l’onorevole Meloni ci tiene troppo al “presidenzialismo”. Allora, che farebbe uno statista? Promuovere, assieme al presidenzialismo, un rafforzamento dei checks and balances democratici! Oltre ad essere una manovra corretta sul piano del disegno costituzionale, toglierebbe la terra sotto i piedi ai critici del governo. Ci sono tanti articoli della Costituzione ancora inattuati, o ignorati e da rivitalizzare… Ma anche qui, assumere un consigliere non di destra, di forte sensibilità democratica, sarebbe prezioso (per il governo).

Il messaggio di questo post è: non perdete tempo nell’organizzare le strutture tecniche necessarie per un buon governo. E tanti auguri! Ne avremo bisogno.

L'articolo Giorgia Meloni, i miei consigli non richiesti per un buon governo. Partirei subito da tre questioni proviene da Il Fatto Quotidiano.

Berlusconi condanna la resistenza ucraina: così tradisce la nostra civiltà

$
0
0

“La guerra è colpa della resistenza ucraina”, dice Silvio Berlusconi ai suoi. Scandaloso? Forse. Ma Silvio è in ottima compagnia! Per esempio, il direttore del quotidiano cattolico Avvenire espresse lo stesso concetto (su La7) già ai primi di marzo: “Se Zelensky avesse accettato di lasciare Kiev, il giorno dopo l’invasione, come da proposta americana, invece di organizzare la resistenza: non avremmo la pace?!”.

Il direttore di Avvenire non è un forzista qualunque; tantomeno è sospettabile di essere al soldo di Putin. Non è neppure di destra! Ed è, si dice, “vicino al Papa”. Che è il principale “riferimento spirituale” degli italiani: secondo il neo Presidente della Camera Fontana (quello che in Donbass i referendum di Putin sono regolari, che “le sanzioni sono un boomerang”). Apprezzamento che gli è valso una telefonata del Santo Padre. In questa melassa, il pensiero va alle “parole dolcissime” che Vladimir “Uomo-di-Pace” avrebbe rivolto a Silvio. E a migliaia di cittadini “contro la guerra” che, unendosi a Fontana e Putin, lodano sui social “il coraggio” di B.

Sono tanti, sì: perché le parole di Silvio sono la logica conclusione di ogni pacifismo. Gli aggrediti si difendono, quindi “fanno la guerra”, quindi sono (altrettanto) colpevoli. Come i familiari dei desaparecidos, che nei tribunali argentini cercavano notizie dei loro cari, e giustizia. Gli venne opposta l’ideologia della pacificación nacional e l’amnistia per i torturatori, mentre qualche prelato spiegava l’importanza del “perdono”, e insomma, che la smettessero! O i miti sui polacchi “teste calde”, fino alla carica della cavalleria contro i panzer tedeschi (mai avvenuta!): miti creati ad arte dagli occupanti di turno. Polacchi per natura rompiscatole. Baltici e ucraini: pure. Proprietà transitiva.

Ma siccome non basta accusare i difensori di “far salire la tensione”, allora cominciano: la minimizzazione delle violenze (Bucha? Sarà vero?), la generalizzazione di peccati isolati dell’aggredito (“ucraini = nazisti!”), addirittura il transfert su un “colpevole” più credibile (gli Usa). Come previsto da Fedro:

Lupo: “Sei mesi fa parlasti male di me!”
Agnello: “Non ero nato.”
Lupo: “Tuo padre, per Ercole!, parlò male di me!”

Il pacifismo ha diverse motivazioni. Ma a volte è solo, per dirla con Natalie Tocci, “una misera foglia di fico per mal celare bieca ideologia, cinismo, e paura”. In realtà, “certi ambienti subiscono il fascino dell’uomo forte al potere, l’invaghimento per Putin. Ma questa è solo una minima parte. Il fattore dilagante è l’antiamericanismo, una difficoltà incomprensibile di scindere le cose: gli Usa possono aver commesso errori, invasioni e violazioni dei diritti umani, ma i fatti in Ucraina raccontano un’altra storia. È un altro film. E poi c’è il complottismo, che nel nostro Paese attecchisce con facilità”.

Il pacifismo paralizza la difesa del diritto internazionale e dei diritti fondamentali dell’Uomo e dei Popoli: vita, libertà, dignità, non essere torturati, stuprati, bombardati, affamati, ecc. E apre le porte a un mondo governato secondo criteri fascisti. Per questo le parole di Berlusconi e dei pacifisti suscitano entusiasmo sui media di regime russi (e su quelli del neo-fascismo internazionale): non perché i fascisti siano “uomini di Pace”, ma perché il loro grande terrore e odio sono i Churchill di ogni epoca. Gente che avanza senza debolezze un ideale opposto al loro di convivenza civile. Ma bisogna anche dire che la reazione di Giorgia Meloni è stata da sogno: “Chi non condivide la linea atlantista è fuori, a costo di non fare il governo”. Chi l’avrebbe mai detto?

B. invece è stato tradito dalla mancanza di valori. I suoi pensieri – lui forse neanche se ne rende conto – rappresentano un tradimento della nostra civiltà liberal-democratica. E se oggi tradisce gli ucraini, per i propri comodi… domani, se alle strette, non venderebbe la Romania, o la Sicilia… o ciascuno di noi? Le sue sono solo parole, certo: ma i totalitarismi iniziano sempre dalla manipolazione del linguaggio. Quello mellifluo è tipico dei dittatori (e dei loro amici). Urge rileggere Orwell, Huxley… o Tolkien, il suo bellissimo, profondissimo dialogo “La voce di Saruman” (Il Signore degli Anelli, Le Due Torri). Che dice tutto, in anticipo di 60 anni.

L'articolo Berlusconi condanna la resistenza ucraina: così tradisce la nostra civiltà proviene da Il Fatto Quotidiano.

Tutti vogliono andare a Pompei, ma Oplontis è altra cosa. Cari archeologi, piano con gli scavi!

$
0
0

Oplontis, luogo “segreto” e meraviglioso. Segreto? Fino a un certo punto: nel 2019 è stato visitato da 55.594 persone (+44% sul 2000)! Si tratta pur sempre di piccoli numeri, rispetto al mezzo milione di visitatori di Ercolano e ai 4 milioni (+67%) di Pompei.

Tutti vogliono andare a Pompei. Eppure, a Pompei non è rimasto nulla, a parte le mura, le strade, e la Villa dei Misteri: bisogna leggere le aride pietre, per intuire l’antica vita quotidiana. Per esempio, i 55 fast-food e i 600 negozi (a riconoscerli!) per 11.000 abitanti, i graffiti (a trovarli! A decifrarli!), il sistema idrico e stradale, la struttura delle abitazioni, ci parlano di un’estrema divisione del lavoro (benessere), dell’alfabetizzazione (spettacolare), di politiche pubbliche, della vita domestica accogliente verso gli altri, ecc.. Ma non è un linguaggio immediato.

Pompei è stata saccheggiata più volte: la prima dopo l’eruzione del 79, dai suoi stessi abitanti in cerca dei loro tesori, e su indicazione di Tito (voleva recuperare i marmi). Poi giunsero i Borboni, i tombaroli, i bombardieri Usa, i turisti… E gli archeologi! A scopo conservativo non lasciano nulla nelle domus/insulae. Quanto ai pochi affreschi non asportati, e ai graffiti, il sole e la pioggia li sbiadiscono inesorabilmente.

Oplontis è altra cosa. La Villa A (l’unica visitabile) è sfarzosissima. Dedicata all’otium, era situata su una scogliera di 15m a picco sul mare ma con una serie di pianori a scendere intagliati nella roccia, per consentire agli ospiti di prendere il sole contemplando il Sinus Cumanus (o Crater), con discesa a mare e porticciolo privato. La proprietaria era forse Poppea, vera poupée de luxe del I° secolo, e seconda moglie di Nerone. Non stupisce che gli affreschi (e i colori) siano mozzafiato: la qualità è tale da rivaleggiare con i maestri del Rinascimento.

A Oplontis, che si trova nei pressi di Torre Annunziata, gli archeologi scavano dal 1964. Hanno ricomposto e riportato i frammenti degli affreschi sulle pareti (in parte ricostruite), hanno messo i tetti (riparano dalle intemperie). La “Villa A” al momento dell’eruzione era quasi vuota, per una ristrutturazione: gli archeologi si sono limitati a portare via le 15 statue che circondavano un tempo la grande piscina (61x17m): da 50 anni giacciono mestamente in un polveroso deposito. Gli affreschi però sotto il profilo estetico sono immediatamente fruibili.

Ma, nonostante la copertura dei tetti e le precauzioni, gli affreschi di Oplontis non sono più come una volta. Sono come una splendida quarantenne. I colori ancora meravigliosi stanno perdendo brillantezza. La Villa A è aperta al vento e alle intemperie; su alcuni dipinti batte il sole! All’ingresso, ai visitatori non vengono tolti zainetti e ombrelli, come avviene al MoMa di New York. I turisti si aggirano alitando sulle pitture, toccando, appoggiandosi; ogni tanto qualcuno si gira e per errore, con lo zainetto o l’ombrello, graffia la parete. Nel grande complesso (100x200m) rimangono due soli anziani guardiani.

I progressi nella gestione dei siti pompeiani, negli ultimi 12 anni, sono stati enormi. Fra l’altro, oggi stanno ri-assumendo qualcuno. Tuttavia, i problemi non hanno origini solo finanziarie, ma anche culturali. Vietare zaini e ombrelli non costerebbe nulla. Proteggere (anche solo con un telo spiovente dal portico) gli affreschi dal sole idem. Mettere delle ringhiere (brutte) o un elegante cordone, per tenere i turisti a 20cm di distanza dagli affreschi, costerebbe pochissimo. Cartelli che pregano di non avvicinarsi, idem. Non salveranno i capolavori antichi dalla prossima eruzione del Vesuvio; almeno ne rallenterebbero la scomparsa.

Quanto ai provvedimenti onerosi: se mancano i soldi per conservare, non condivido l’entusiasmo per l’imminente ripresa degli scavi alla villa B. Cari archeologi, a mio umile avviso, non solo nei siti pompeiani, urge una pausa di 5-10 anni negli scavi, per mettere in maggior sicurezza i beni archeologici esistenti o che emergono durante i lavori pubblici. Amorevolmente preservati da madre Terra per millenni, non abbiamo il diritto di distruggerli in 100 anni. Lasciamo qualcosa alle future tecniche conservative e interpretative.

Intanto, servono: (1) Nuove regole di fruizione; (2) Investire nel contrasto a tombaroli, furti, e mercato nero; (3) ) Riaprire i Musei chiusi (ad es. il Museo della Civiltà Romana a Roma); (4) Riportare nei siti di origine (le vuote case di Pompei), sotto vetro, qualche reperto originale, e: copie, fotografie, elenchi di quel che è stato trovato, per dare un senso agli ambienti. Rivisitare gli scantinati, proteggere, digitalizzare, valorizzare in modo permanente i reperti depositati. Restituiamo a Oplontis le sue statue! (5) Riconsiderare le politiche di prezzo: 5 euro per Oplontis, per i non residenti è poco; (6) Migliorare il marketing, favorire i piccoli musei: mettendoli in rete con i grandi; prevedendo visite guidate speciali e salate curate dagli archeologi che hanno scavato nella zona; (7) Seriamente, un Piano se il Vesuvio entra in fase eruttiva?!

In conclusione: vi prego, non andate a Oplontis a fare danni! Andate a Piazza Armerina, dove le visite sono calate del 40% nel ventennio pre-covid. I suoi mosaici non sono meno straordinari, ma molto meglio protetti, perciò meno fragili. Quanto a me, ho parlato di Oplontis per (non) parlare delle sfide altissime di Pompei.

L'articolo Tutti vogliono andare a Pompei, ma Oplontis è altra cosa. Cari archeologi, piano con gli scavi! proviene da Il Fatto Quotidiano.

Per rifondare il Pd non occorrono nuovi ideali: basterebbe ritrovare quelli storici del riformismo

$
0
0

I medici, al capezzale del Pd, su un punto concordano: “Mancano le idee!”. S’intende, su come governare l’Italia. Molti dirigenti invocano una “rifondazione”, dopo aver condotto il partito (e il Paese) in uno storico cul de sac. Nasce un “Comitato Costituente”, 87 nominati da Letta. Anche se un “Manifesto dei Valori” già lo scrissero, dopo molti seminari, nel 2007. Ma un ex Segretario invoca “idee spendibili subito”. Servito! S’annuncia “la prima iniziativa della nuova fase costituente”, una “controproposta di legge di bilancio“.

Tale dibattito mira all’auto-conservazione delle élite. Difatti, per rifondare il Pd non occorrono nuove missioni, ideali, obiettivi: basterebbe ritrovare quelli storici del riformismo, da Turati in poi: democrazia; giustizia sociale; ambiente, pace, ecc. Quanto alla loro concreta declinazione, università, centri-studio, fondazioni, esperti sono ricchi di strategie e progetti di alto livello. Basterebbe organizzare l’ascolto e recepire. Ma il Pd è impermeabile alle idee. Come mai?

Il problema è la rappresentanza degli interessi, cioè la democrazia interna. Che, parafrasando Gaber, “è partecipazione”. Perché i dirigenti ripetono: “dobbiamo tornare nelle periferie”; mai: “lasciamo entrare le periferie”? Perché restano fuori quasi tutti i leader sociali, gli intellettuali, gli iscritti dei Circoli (divenuti irrilevanti sfogatoi); gli elettori (chiamati solo a plebiscitare i “big”)? Perché nel Pd si entra solo se cooptati! Già Veltroni: hey, ho candidato “un giovane”, “una donna!”, “un nero”, “un operaio della Thyssen”… Questa era la sua “apertura alla società civile”.

Il tesseramento è in crisi, i sondaggi negativi. Cottarelli a Milano rileva un “odio profondo” per il Pd da parte dei “suoi stessi elettori”. Che Gianni Cuperlo non si spiega: “Sono stanco di ricevere sputi e insulti … da quelli che ci spiegano cosa fare e pensare con tono denigrante … gli stessi che quando il potere abitava qui erano qui a coglierne riflesso e utili”. Insomma: cooptati ingrati! La cooptazione non ammette critiche. L’odio nasce da qui: dall’ipocrisia dei riti democratici privi di contenuto, dalla democrazia tradita.

Una concezione “democratica” meramente formale finisce per investire le istituzioni del Paese, causandone il declino. Difatti il Pd, “Partito della Costituzione”, ha contribuito a rendere il Parlamento un luogo pletorico (S. Cassese), fra l’altro con l’abuso dei decreti legge. Ha attaccato l’art. 138 Cost., che la protegge dai colpi di mano. Ha cambiato un terzo della Costituzione in senso semi-autoritario, venendo fermato per referendum. Ha messo a rischio la tenuta democratica del Paese con leggi elettorali incostituzionali (fortuna che Meloni non è Mussolini). Gli elettori non possono scegliersi i propri rappresentanti: invece di far funzionare il sistema delle preferenze lo hanno abolito.

Diversi articoli della Costituzione sui diritti attendono dal 1948 la legge di attuazione: come gli art. 39 e 49 sulla democrazia nei sindacati e nei partiti! E se “la democrazia ha bisogno di manutenzione” (P. Scoppola), delle crepe che emergono – tre esempi: l’impotenza della Corte a vagliare in via principale la nuova legislazione; i conflitti di interesse dei membri delle assemblee elettive e relativi poltronifici; l’assenza del numero identificativo sui caschi degli agenti di polizia – il Pd non si cura. Perché allora gli italiani non dovrebbero rivolgersi ad altri modelli politici e costituzionali potenzialmente autoritari, nell’illusione eterna che un rapporto diretto con i leader offra al popolo maggiori leve?

La democrazia dentro e fuori il Pd non sarà al centro delle preoccupazioni della gente. Ma con il suo declino, dal 2007 (nascita del Pd), non per caso, disuguaglianze e povertà sono cresciute (indice Gini +1,8). L’adesione acritica, ideologica, al paradigma neoliberista dell’euro ha comportato: una caduta del Pil pro-capite del 7%, l’interruzione del calo secolare degli incidenti sul lavoro, l’aumento del debito/Pil da 104 a 147% e una spesa “eccessiva” annuale per “spread” di 25 miliardi (sottratti al welfare), di cui non si vede la fine. Per fare scelte sciagurate, il Pd ha rotto i rapporti con Ong e intellettuali di riferimento (keynesiani, costituzionalisti, politologi), salvo i tre cooptati per dare ragione al Capo.

Non tutto va male per colpa del Pd, no. Ma il Pd come minimo non ha mai presentato un piano organico per manutenere la democrazia, abbattere la povertà, per la transizione ecologica, per una riforma strutturale dell’euro, per l’ordine mondiale… Però ha le idee chiare sugli stipendi dei parlamentari più alti del mondo (grafico): “Garantiscono autonomia, disciplina e onore!” (Boldrini).

I candidati nazionali promettono di mettere fine alla cooptazione, di aprire il partito. Ma non dicono come. Al Congresso si va senza un dibattito strutturato, tempi congrui, regole certe. Per presentare mozioni (e candidarsi) occorrono decine di migliaia di firme di iscritti da tutt’Italia, i cui nominativi (email) sono uno dei segreti meglio protetti del Pd.

Qualche misura pre-congressuale di buon senso sarebbe ancora possibile:

1. Una Commissione di Garanzia realmente autonoma;
2. Superare le liste bloccate per l’elezione dei delegati;
3. Rendere pubblico il numero degli iscritti, con dettaglio regionale, e le email dei circoli. Inviare a tutti gli iscritti tutte le mozioni congressuali pervenute, per garantire pari visibilità e pari possibilità di raccogliere le firme necessarie;
4. Più di due candidati abbiano accesso alle Primarie.

Quale candidato nazionale appoggerebbe queste minime proposte?

L'articolo Per rifondare il Pd non occorrono nuovi ideali: basterebbe ritrovare quelli storici del riformismo proviene da Il Fatto Quotidiano.

Pd, ai quattro candidati alla segreteria un appello per la democrazia partitica

$
0
0

È uscito su Huffington Post un dettagliato appello per la democrazia nei partiti indirizzato ai quattro candidati a Segretario nazionale del Pd, ma idealmente rivolto a tutti i partiti. L’aspetto interessante a mio avviso è il collegamento che gli autori – fra i quali il Cordialmente Vostro – stabiliscono fra: democrazia nei partiti, nelle istituzioni, buongoverno e possibilità di ripresa dell’Italia.

Il degrado della democrazia è come la rana in pentola: quella che, per la gradualità del riscaldamento, non s’accorge di finire bollita. L’Italia è ricca di competenze. Ma la politica non è in grado di mettere ciascuno a fare quel che sa meglio fare perché distribuisce i posti pensando a quel che può prendere e non quel che ciascuno può dare. Ora il secondo partito italiano va a Congresso: ci sarà uno fra Stefano Bonaccini, Gianni Cuperlo, Paola De Micheli ed Elly Schlein che voglia provare a restituirci una politica degna di un Paese moderno e che oltre la retorica abbia qualche idea sul “come” farlo?

La “Lettera aperta ai Candidati del Pd” comincia rilevando “un profondo deficit di democrazia nel Pd che frustra la volontà di partecipazione della base, le possibilità di autofinanziamento e le prospettive elettorali del Partito”.

Il Pd – sostengono gli autori – “non è realmente contendibile per le difficoltà evidenti di presentare mozioni e candidature”, fatta eccezione per “pochi insiders” protetti da regolamenti su misura. Ciò “alimenta una cultura malata della democrazia che si riflette drammaticamente nella concezione proprietaria delle istituzioni, tipica della politica italiana (dove) prosperano la cooptazione, il clientelismo e la corruzione”. Ai candidati si chiede: “un rigoroso impegno per il rilancio di una piena democrazia in Italia, della Costituzione e di una partecipazione informata e consapevole della società civile, a cominciare dalla democrazia interna del Pd”.

Dopo aver avanzato 18 proposte concrete per la democrazia in Italia e nei partiti (Pd), gli autori concludono: “Riteniamo che il Pd debba dotarsi nei prossimi anni di una linea politica profondamente rinnovata, in particolare su: istituzioni, Europa, immigrati, scuola, sanità, welfare, ambiente e molti altri temi dando spazio alla partecipazione e al voto” degli iscritti. “Riteniamo infatti che la svolta politica auspicata vada realizzata da mozioni congressuali (anche contrapposte) di alto profilo, le cui implicazioni siano vagliate e dibattute dalla base del Partito. Una non meramente formale democrazia interna è condizione necessaria per la svolta”.

Come si vede, una concezione vicina allo spirito della Costituzione, lontanissima dall’impostazione plebiscitaria e, in fondo, autoritaria e conservatrice delle cosiddette primarie. Dove il popolo viene convocato per acclamare i leader rigorosamente espressi dai meccanismi cooptativi scegliendone uno tra quattro che tanto si assomigliano e che tanto assomigliano a quelli di ieri. Un’altra politica è possibile? Qui il testo integrale della Lettera Aperta ai Candidati, per un vero percorso ri-costituente del Pd.

L'articolo Pd, ai quattro candidati alla segreteria un appello per la democrazia partitica proviene da Il Fatto Quotidiano.

Terremoto in Turchia e Siria, non basta delegare: vorrei che le istituzioni ci aiutassero a mobilitarci

$
0
0

Le notizie che giungono dalla Turchia e dalla Siria generano, come sempre in questi casi, un senso di sgomento e di impotenza. Dal caldo delle nostre case guardiamo in tv i superstiti intirizziti aggirarsi nella neve, senza più nulla: con le nostre risorse sovrabbondanti vorremmo dare una mano ed essere vicini. Ma il nostro desiderio (di umanità) è frustrato dall’immensità della catastrofe e dalla distanza.

La Protezione Civile rassicura le nostre turbate coscienze: “Il nostro Paese ha offerto un modulo Usar (ricerca e soccorso in ambito urbano), messo a disposizione dai Vigili del Fuoco e composto da 57 operatori, di cui 11 medici e 12 tonnellate di attrezzature, che nelle prossime ore partirà per la Turchia”. Meno male, ci pensano loro! E i volontari? Dove sono i volontari? Le Protezioni Civili europee provano a organizzarli e coordinarli, però in numeri minimi. Quella italiana in teoria pesca da un ampio pool di Ong associate; in pratica verranno coinvolte poche persone.

Ai comuni mortali non resta che inviare denaro tramite Caritas, Unicef, Cei (otto per mille), ecc. Però non sai mai quando una data organizzazione ha già raggiunto il suo target; o come, e quando, spende i soldi. La Protezione Civile non potrebbe coordinare questi aspetti informativi cruciali? Ad esempio pubblicando, per ogni singola emergenza, un elenco di Ong con i loro obiettivi di entrate e di spesa e quanto hanno già ricevuto? Anche per darci degli obiettivi. A volte poi, le nostre case sono piene di roba inutilizzata che non riusciamo a riciclare e di cui ci libereremmo più volentieri dei soldi. I bonifici disumanizzano la carità trasformandola in anonime transazioni finanziarie. Viceversa, preparare pacchi dono c’impegna, ci costringe a pensare al destinatario, a entrare un poco di più in relazione. E la relazione è importante per tutti.

Oggi in Turchia e Siria c’è bisogno di vestiti caldi e nel brevissimo termine sarebbero più utili dei soldi; noi ne abbiamo e vorremmo donarli, ma non sappiamo come. L’intervento diretto della Protezione Civile resta pur sempre una preziosa goccia nel mare. Ma 60 milioni di italiani – fra cui 6 milioni di volontari – potrebbero e vorrebbero fare di più. Come già durante l’emergenza Covid, ci piacerebbe che la Protezione Civile e le istituzioni aiutassero il Paese a mobilitarsi, invece di abituarlo solo a delegare.

L'articolo Terremoto in Turchia e Siria, non basta delegare: vorrei che le istituzioni ci aiutassero a mobilitarci proviene da Il Fatto Quotidiano.


Netanyahu sembra un pupazzo di Hamas. Ma non è il solo a cadere nella trappola

$
0
0

Rappresentanti arabi e israeliani in tv lamentano, con toni accorati, le violenze subite, ma solo dalla propria parte. E chiedono a gran voce a noi parti terze di far propria la loro faziosità. Per esempio, il Qatar ha fatto fallire un vertice Ue-Paesi Arabi perché non voleva criticare Hamas nel comunicato finale (gravi responsabilità anche dell’Ue). La Regina Rania di Giordania, in una intervista alla Cnn, ha accusato emotivamente “l’Occidente” di “doppio standard”: peccato però che, all’indomani del pogrom del 7 ottobre, non ha speso una parola per le vittime israeliane (come il Re Abdullah II); e costringe la giornalista CNN a richiamarla sul punto. Intanto, continua il silenzio assordante di Israele sui morti civili di Gaza.

Dietro al diffuso “vittimismo a senso unico” c’è un sofisma funesto: “I crimini di Hamas contro i civili ebrei sono una normale, inevitabile conseguenza delle ingiustizie (storicamente) commesse da Israele; perciò, la responsabilità è (anche) di Israele”. E viceversa. Così, aggressori e vittime finiscono sullo stesso piano. Il sofisma si chiude affermando la presenza di latenti minacce, che giustificano nuove violenze… contro innocenti. Questa logica è penetrata in larghi strati delle opinioni pubbliche mondiali: inclusi prominenti uomini di chiesa, politici, diplomatici, ecc.

In verità, si sono anche levate voci discordanti. Ad esempio, la (timorosa e tardiva) condanna di Hamas da parte del leader palestinese Abu Mazen. O la manifestazione ebraica di Washington per l’immediato cessate il fuoco a Gaza. O ancora, gli studenti di Teheran che saltano per non calpestare la bandiera di Israele posta sullo zerbino dell’Università. Ma i talk show, a queste posizioni non danno spazio!

La tendenza a giustificare i crimini dei “nostri” con quelli degli “altri” (pregressi) è benzina sul fuoco: una macchina che produce il consenso necessario per ogni guerra. È la stessa logica di Hitler contro slavi ed ebrei (lo “spazio vitale” necessario dopo le “ingiustizie” subite a Versailles; liberarsi degli “strozzini”), di Putin in Ucraina, di Xi a Taiwan. Ma un crimine è sempre un crimine. E se non lo si isola e combatte nel proprio ambiente, nasce uno stagno ambiguo e complice in cui i criminali sguazzano. La sensazione che la terza guerra mondiale s’avvicini a grandi passi nasce non solo dal proliferare di conflitti regionali e dal coinvolgimento delle Grandi Potenze. Ma anche dal dilagare di una nuova pseudo-etica globale tristemente moralista e bellicista: rifiuto di solidarizzare con gli innocenti dell’“altra parte”; incapacità di distinguere la “legittima difesa” dalla “guerra di aggressione”; via libera generale ai Lupi di Fedro.

Su Hamas c’è poco da dire. Questi terroristi sanno, in cuor loro, che le loro azioni sono ingiustificabili davanti a Dio e agli Uomini; infatti, se ne vergognano, e negano il pogrom deliberato del 7 ottobre, farneticando di semplici “danni collaterali” (anche la Regina Rania è negazionista sui bambini israeliani decapitati da Hamas). Opponendosi alla soluzione dei “Due Popoli, Due Stati”, bloccano il processo di pace. Governano Gaza, ma si fanno scudo dei palestinesi, di cui non gl’importa nulla (“abbiamo bisogno del vostro sangue”, Ismail Haniyeh, è la loro posizione). Vogliono cancellare Israele, l’Occidente, tutto, e fare un Califfato mondiale (Erdogan applaude).

Quanto a Netanyahu, sembra un pupazzo di Hamas. È infatti evidente, anche ai bambini, che l’attacco di Hamas mirava a deragliare l’imminente storico accordo fra Israele e Arabia Saudita, che avrebbe avviato straordinarie dinamiche di pace nella regione. Ma Israele… cade sempre nella trappola! Come previsto, bombarda le postazioni di Hamas senza riguardo per la popolazione. Eppure, non era difficile premettere una operazione di “messa in sicurezza dei civili”, al doveroso attacco contro Hamas.

Se la sicurezza di lungo termine di Israele, come a noi pare ovvio, dipende dalla pace con i suoi vicini, le “battaglie” più importanti sono quelle per i cuori e le menti dei palestinesi moderati. Se questo obiettivo non entrerà stabilmente e in dosi massicce nelle strategie di Israele, il Medio Oriente resterà instabile. Ma non è solo Netanyahu a non capire. Dopo 75 anni di guerre e tragedie, con tutto il rispetto, forse Israele dovrebbe interrogarsi profondamente sulla propria cultura, e su cosa gli impedisca di disegnare strategie politiche efficaci. Lo stesso vale per i palestinesi.

L'articolo Netanyahu sembra un pupazzo di Hamas. Ma non è il solo a cadere nella trappola proviene da Il Fatto Quotidiano.

Disarmiamoci tutti! C’è trumpismo nel Pd

$
0
0

Ad una piccola folla di elettori, il Candidato del Pd spiega: le guerre nascono dallo scadere (come gli yogurt) degli armamenti, quando gli eserciti devono liberarsene! Ah! Finalmente illuminati!

La fine di Troia – o sacro Vate! – non causò Elena fatale. Tucidide ingenuo! Sparta non irrorò terra e mari d’attico sangue “per l’eccessivo potere di Atene e la paura che esso suscita”. Forse Alessandro soggiogò l’Asia in cerca di gloria? Forse Catone bramava i punici agri – no, Polibio! -, inviando il tuo generale a Cartagine?! E Cesare, Traiano, Alarico? Non gloria, non terre, né potere! L’orrida guerra pugnaron tutti per… l’inevitabil irruginir de’ ferri!

Così fece anche Bonaparte: per i suoi schioppi vetusti! E le democrazie: contro Guglielmo e Hitler furon prese da grande angoscia: “Quando useremo i nostri Spitfire? Ora o mai più!”. E via a guerreggiare! Idem in Rwanda (1994, 800.000 morti in 100 giorni): “Usiamo i nostri machete prima che decadano!”, altro che odi etnici! E non trascuro le guerre minori, le guerriglie, le guerre sante, per il petrolio, perché “non tollero un Paese libero al confine”. Lo ha detto anche il Papa: “bloccare lo scandaloso commercio delle armi” e “l’industria delle armi, prima causa dei conflitti mondiali…”.

Chissà chi consiglia il Papa in geopolitica: materia che – da Machiavelli in poi – si studia con metodo scientifico. È come se il Papa dicesse che la terra è rotonda, o piatta (come preferite). Disse: “Date a Cesare quel che è di Cesare”… Però il Papa ha ragione: basta armi! Disarmiamoci tutti! Cominciando dai carabinieri. E apriamo una trattativa diplomatica con la mafia. Cominciamo a realizzare il Regno: che, come è noto, è senza armi e relative vittime! Che c’è? Ho saltato un passaggio?

Ma torniamo al nostro Candidato: lui è già oltre. Ora mette sullo stesso piano quelli che nel 1939-45 si batterono per la libertà con quelli che furono per l’ordine nazi-fascista. Sta dicendo implicitamente a tutti i ragazzi morti sulle spiagge di Normandia, nei cieli di Londra, sulle barricate di Leningrado, nelle fogne di Varsavia, nei boschi delle Langhe: siete come i fascisti. Così, nega i valori della nostra Costituzione, nata da quella lotta armata. E i valori del Pd nato nel 2007 come “Il Partito della Costituzione”.

Il Narciso, guidato da rigidi e fermi principi, ricerca la superiorità morale, la “purezza”, non vuole “contaminarsi” col male. Cattolico, non ha capito la lezione di Tommaso d’Aquino sull’etica della responsabilità: che richiede compromessi, sporcarsi le mani, scegliere il male minore. Dimostra di ignorare anche il VI canto dell’Iliade, la sua scala di valori (un pilastro etico). La conseguenza è una rotta di collisione con il diritto (pubblico) internazionale. Come Putin e Trump, casualmente.

Fa il “Buono” di professione – ha ricevuto molti premi nell’ambito umanitario. Ma ora irride gli ucraini: “Togliamogli le armi per il loro bene!” assaggiando un salatino. Parla deciso, apodittico, radicale, come uno che sa, di questioni delicatissime (la Nato, il rischio guerra nucleare, ecc.) sulle quali ha idee vaghe e confuse. Non ha mai studiato relazioni internazionali (neppure è laureato). Vuole sciogliere la Nato nel momento in cui una coalizione di superpotenze nucleari fascistoidi minaccia guerra atomica, già scatena una guerra ibrida mondiale e guerre locali. Suggerisce sempre vie comode.

Nello stesso evento romano parla un’altra candidata del Pd. Da 30 anni si occupa di sociale e disabili, fondando diverse case famiglia, ecc. Seria, competente, non fa sparate, non liscia il pelo alle turbe, perciò non verrà eletta. Si chiama Improta. Complimenti signora. E a Schlein per questa scelta. Meno per l’Anziano Adolescente di Foligno, della cui candidatura qualcuno nel Pd si rallegra: “Così prenderemo anche una fetta del voto pacifista”. Ma in un’epoca in cui la gente è disorientata, e ha bisogno di leader capaci di proporre una visione del futuro possibile e del come arrivarci, ingannare gli elettori non è commendevole.

L'articolo Disarmiamoci tutti! C’è trumpismo nel Pd proviene da Il Fatto Quotidiano.

Usa 2024, una presidenza Trump sarebbe l’apice del successo di Putin

$
0
0

In Cronache dalla Galassia, Asimov chiama “crisi di Seldon” la “tempesta perfetta” provocata dal simultaneo svilupparsi di “una crisi domestica e una crisi esterna”. È quanto sta succedendo oggi in diversi Paesi democratici. Al ritorno dalle vacanze estive potrebbero esserci improvvise accelerazioni.

Il detonatore – L’epicentro della crisi al momento è negli Usa. Il primo dibattito televisivo in vista delle elezioni di novembre ha aperto un’autostrada davanti a Trump. “Sleepy Joe” Biden è parso ormai troppo anziano (al 73% degli americani) per fare ancora il Presidente: i sondaggi sono in caduta libera. La situazione spaventa i Democratici, non tanto perché perderanno le elezioni (ci sono abituati), ma perché Trump è un candidato tutt’altro che normale. In due parole, è un pericoloso fascistoide. Condannato per reati penali. Ma la Corte Suprema, in parte da lui nominata nel corso del suo primo mandato, sembra volergli offrire ogni salvacondotto: Trump va battuto nelle urne. Di qui il tentativo senza precedenti dei ‘dem’ di cambiare cavallo in corsa. Spero ci riescano. Ma secondo gli ultimi sondaggi Trump ha ormai un vantaggio di almeno 5 punti percentuali su qualsiasi candidato ‘dem’.

Crisi domestica – Trump ha detto che in caso di sconfitta non accetterà il responso elettorale, né tratterrà la furia dei suoi sostenitori. Ripete che l’elezione del 2020 gli fu rubata. In pratica predica la sovversione, delegittima la democrazia, diffonde vittimismo e odio, per spingere l’opinione pubblica a scelte politiche emotive anti-establishment. Ha infarcito il dibattito TV di menzogne: così attacca il concetto stesso di “verità” (premessa del “render conto” nella democrazia rappresentativa); la deride in quanto “valore”. Approfitta fino in fondo della tolleranza del sistema (liberale) in cui vive. Qualche volta, lanciato un sasso, nasconde la mano per lasciarsi tutte le porte aperte: anche per eventuali ritirate “tattiche” (come Mussolini, 1922-23). In caso di vittoria elettorale poi, figuriamoci! Promette di usare le istituzioni per vendicarsi (di cosa, non so), di aprire le cataratte, di politicizzare tutto. Da Presidente gli sarà più facile svuotare le istituzioni di sostanza democratica.

Crisi “esterna” – È anch’essa in uno stadio avanzato. La saldatura fra Russia, Cina, Corea del Nord e Iran è ormai evidente; Putin lavora per aggregare anche Hamas e i Palestinesi. La Russia, messo il bavaglio ai russi, preso (con Wagner) il controllo militare di alcuni stati africani, è già in guerra (ibrida, per ora) con noi (ignari). Con: attacchi informatici; attentati alle infrastrutture; omicidi mirati commessi nei nostri confini; propaganda sui social ingannevole, divisiva, suadente (ricordate Saruman?), pacifista (pro domo sua); finanziamenti e condizionamenti ai nostri politici, manipolazione dei processi elettorali (chiedete a Hillary). Putin nel 2021 definì “decadenza dell’Occidente” ma anche “opportunità” (per la Russia) la permeabilità dei nostri processi politici, la trasparenza, la poca voglia di combattere. Gerasimov individuò nel “fronte interno” il nostro punto debole. Avevano ragione! Parimenti la Cina, che dicono prepari l’invasione di Taiwan per il 2027, già bullizza il sud-est asiatico, e i cinesi espatriati… ma parla sempre di Pace.

Una presidenza Trump rappresenterebbe l’apice del successo di Putin e Gerasimov, e l’inizio della vera crisi esterna per le nazioni liberali (per l’Ucraina fu il 2014). La simpatia di Trump per i dittatori non verrà contrastata dal suo partito, si sposa bene con la vecchia tradizione isolazionista: “America first!”. Chiaramente, Trump intende abbandonare al loro destino l’Ucraina, il diritto internazionale, e l’ordine mondiale liberale antifascista sorto nel 1945 (e mal digerito dagli sconfitti del 1945 e dai sovietici). Il cosiddetto “nuovo” ordine internazionale prevede: mani libere delle superpotenze nelle rispettive “zone di influenza” – che diverranno “colonie di fatto” (Putin) -; il bilateralismo al posto del multilateralismo; e un mondo gestito (spartito) da pochi leader miliardari che si accordano sulla base dei rapporti di forza. Che dire?

Crisi double-face – Gli antichi romani rinunciarono alla Repubblica in cambio della Pax Romana di Augusto. In simil guisa, il “Concerto delle Grandi Potenze” dovrebbe almeno evitare la terza guerra mondiale. Ma si tratta di visioni ingenue, e per ingenui, (Hitler non attaccò la Russia “alleata”?). Come ingenua è – sul piano interno – l’idea che l’Uomo Forte, e in rapporto diretto col popolo, sia “efficiente”, o possa e voglia vendicare i torti subiti dai cittadini; e non voglia, invece, spartirsi la torta con gli amici, lasciando al “popolo” le briciole. La verità è che un crollo della democrazia Usa, o un nuovo asse imperialista Putin-Xi-Trump, aumenterebbe esponenzialmente i rischi democratici e geopolitici. E lascerebbe l’Europa, militarmente impreparata, sola di fronte alla Russia.

La crisi double-face non si affronta cedendo alle spinte sovversive, interne o esterne. Ma neppure si risolve con i tatticismi di corto respiro. Oggi – è vero – il “fronte interno” è già l’ultima trincea della libertà: alcune decisioni politiche e militari vanno prese subito, isolando chi non ci sta. Ma nel lungo termine il problema non sono più Trump, Le Pen, Salvini, Orban, Alternative für Deutschland, ecc. Costoro sono sintomi, catalizzatori di una crisi che viene da lontano. Occorre fare un’analisi profonda del disamore, o della sufficienza, dei giovani nei confronti sia del cosiddetto “sistema democratico”, sia dell’ordine mondiale vigente. Analisi propedeutica a un rinnovamento epocale della proposta politico-istituzionale liberal e di sinistra.

L’analisi in sé non sarebbe così difficile (magari in un prossimo post…). Difficile è, per Biden e l’élite democratica nostrana, riconoscere le proprie responsabilità, che impongono a questo punto di lasciare spazio a una nuova generazione.

L'articolo Usa 2024, una presidenza Trump sarebbe l’apice del successo di Putin proviene da Il Fatto Quotidiano.

Olimpiadi 2024, vinceremo ancora la staffetta 4×100 maschile? Sarà dura, ma si può sognare

$
0
0

Il 1° agosto 2021 Marcell Jacobs vinceva i 100m all’Olimpiade di Tokyo. La sua incredibile medaglia d’oro, quelle di Gianmarco Tamberi (salto in alto), Palmisano e Stano (marcia); gli esuberanti festeggiamenti; l’inno di Mameli sulle labbra di tutti proiettarono in mondovisione l’immagine sconosciuta di un’Italia dominante. Ma l’apice arrivò il 6 agosto: vincemmo da outsider, sul filo di lana, la staffetta 4×100 maschile (Patta, Jacobs, Desalu, e Tortu), con l’incredibile tempo di 37,50. A un giornalista inglese Filippo Tortu dichiarò: “È stato un miracolo! Non ci sono altre spiegazioni possibili”.

Negli ultimi tre anni migliaia di nuovi giovani si sono iscritti alla Fidal sognando di emulare Jacobs e soci. In centinaia di migliaia hanno visto e rivisto la gara di Tokyo su Youtube, consegnando ai posteri commenti rivelatori. @sportlegacy2808: “Più vedo la frazione di Tortu e più resto impressionato. Una delle più grandi gesta sportive di sempre. Gli altri corrono, lui pare disperato, come se avesse qualche pericolo alle spalle… Sembra letteralmente disposto a morire pur di arrivare primo”. @Cekketto9: “Penso che sia l’evento sportivo più bello che io abbia mai visto in tv. Non smetterò mai di rivederlo. Incredibile”. @Desmo1979: “Non riesco a smettere di guardarlo, c’è tutta l’Italia in questa 4x100m. Integrazione, gioco di squadra, tenacia, preparazione, rivincita. Orgoglio incredibile”. L’Italia vuole ancora sognare.

Il 26 luglio a Parigi s’inaugura la 33° Olimpiade. Nella prima settimana di gare il nuoto assegnerà più medaglie, nella seconda l’atletica. C’è grande attesa nel mondo per questo momento di tregua che già gli antichi, dal 776 a.C. (al 393 d.C.) si ritagliarono.

Tre anni fa, l’Italia vinse complessivamente 40 medaglie, di cui 10 d’oro. I record precedenti erano: le 36 medaglie vinte a Los Angeles 1932 e Roma 1960; i 14 ori di Los Angeles 1984. A Parigi, gli obiettivi del Coni sono: essere la prima nazione europea fra le prime dieci nazioni al mondo; vincere più di 40 medaglie. Gracenote prevede che l’Italia vincerà 46 medaglie.

Ma al di là di tutto, che volete, il nostro vero grande inconfessabile sogno sportivo è rivincere la 4×100 maschile. E mentre guardiamo con apprensione alle performance altalenanti di Jacobs e Tortu, nuovi numerosi ‘campioncini’ emergenti alimentano speranze. Ad esempio, il giovane Chituru Ali quest’anno ha corso i 100m in 9,96: potrebbe trovare posto nel quartetto azzurro in terza o quarta frazione, al posto di Desalu (che però nei 200m si è migliorato), o Tortu, abbassando così i tempi teorici della nostra staffetta di circa 18 centesimi. Inoltre, il giovane Melluzzo sta correndo in 10,12: potrebbe trovare posto in prima frazione, limando altri 6 centesimi. Facendo due conti: 37,50 (Tokyo) – 0,18 – 0,06 = 37,26! Gli Usa quest’anno hanno corso in 37,40. Siamo campioni olimpici, Europei, vice-campioni del mondo in carica. Perché non dovremmo sognare?

In verità, a Tokyo le stelle s’allinearono in modo quasi irripetibile. Gli azzurri superarono sé stessi, i cambi furono favolosi; e gli Usa uscirono in semifinale per troppa sufficienza. A Parigi, riuscirà Jacobs a correre di nuovo i 100m in 9,80? Tortu ripeterà la gara di Tokyo? I cambi italiani saranno perfetti? Quanto agli Stati Uniti, stavolta paiono decisi a vincere: Coleman (9,86, escluso ai trials) è stato richiamato pochi giorni fa al posto di Lindsey (10.00); Lyles ha corso sabato in 9,80, primato personale.

La tabella qui sopra (in evoluzione) riporta i migliori tempi dell’anno sui 100m dei velocisti di diversi paesi. Nell’ultimo rigo questi tempi vengono sommati: il totale indica la base di velocità di ciascun paese. (Ovviamente le staffette sono più veloci della somma dei quattro tempi individuali, perché gli atleti partono lanciati). Emergono così alcuni dati.

Primo: il gap teorico di velocità fra gli Usa e l’Italia è di 40,15-39,42 = 73 centesimi. Se Jacobs tornerà ai livelli di Tokyo, resteranno comunque 58 centesimi da recuperare con i famosi ‘cambi veloci’ dell’Italia: troppi (fatta salva la tradizione di pasticci degli americani). Inoltre, il sistema italiano dopo Tokyo è stato intensamente studiato dalle altre nazioni (e i tecnici italiani corteggiati): c’è la sensazione che il vantaggio dell’Italia in questo settore si sia ridotto. Quest’anno poi ben 11 americani hanno corso in meno di 10”, contro due italiani, a testimonianza del fatto che la sfida italiana agli Usa è un po’ come David contro Golia.

Secondo, è risorta la Giamaica, con Thompson n. 1 dell’anno. Sono ora almeno due le nazioni teoricamente fuori portata dell’Italia, che devono “sbagliare qualcosa” per aprirci la strada verso l’oro.

Terzo, il Sudafrica (RSA) e altre nazioni africane sono in crescita: potrebbero sorprendere.

Quarto, vi sono molte squadre più o meno a livello dell’Italia, come il Canada e la Gran Bretagna. Per non parlare di Cina e Giappone, che tendono a nascondersi fino all’ultimo.

Morale della favola: una medaglia di bronzo andrà accolta con gratitudine. Ma il sogno aureo non svanirà… fino agli ultimi metri, quando vedremo forse Tortu o Ali rimontati da Lyles e Thompson. Resta viva una “aritmetica del sogno”: partendo dal 37,50 di Tokyo, scendendo di 24 centesimi grazie alle nuove leve, arriveremmo al tempo (37,26) attorno al quale probabilmente verrà assegnato l’oro. E noi, da quelle parti, potremmo esserci.

L'articolo Olimpiadi 2024, vinceremo ancora la staffetta 4×100 maschile? Sarà dura, ma si può sognare proviene da Il Fatto Quotidiano.

Olimpiadi, la sconfitta alla 4×100 brucia: perché non è stato schierato Ali? Vorrei un parere tecnico

$
0
0

Bellissime Olimpiadi, bellissima la festa finale. Bellissima anche l’Olimpiade dell’Italia. Ma un grande Sogno della vigilia non si è concretizzato, e di questo voglio parlare. La staffetta 4×100 maschile non ha vinto, non è andata a medaglia. Ha fatto “una buona gara”, arrivando quarta, segnando anche un tempo – 37”68 – migliore di quello che in maggio ci laureò campioni europei; alle Olimpiadi di Tokyo avrebbe fruttato quella medaglia di bronzo che a Parigi ci è sfuggita per soli sei centesimi.

E tuttavia la sconfitta brucia! Innanzitutto, l’occasione persa è enorme. Tra semifinale (mancata qualificazione della Giamaica) e finale (errore nei cambi degli Stati Uniti), i due squadroni americani – gli unici teoricamente imbattibili – avevano trovato il modo di eliminarsi da soli! La medaglia d’oro era dunque inaspettatamente a disposizione delle squadre di seconda fila: di chi avesse osato rischiare, e avesse saputo coglierla. Esattamente quanto prescritto dal dottore!

Il “Sogno” italiano era però legato anche a una seconda circostanza fortunata, che ha un nome e un cognome; Chituru Ali, il velocista emergente che il settore velocità aspettava da tre anni per consentire un salto di qualità alla nostra staffetta. Costui un mese fa aveva fatto segnare il tempo di 9”96, secondo italiano più veloce di sempre. Ali avrebbe dunque certamente corso sia la prima sia la quarta frazione ben più velocemente dei titolari Melluzzo e Tortu; i quali attualmente corrono i 100 m (gara individuale) in un intervallo di tempi stimabile in 10”12 – 10”45 (Melluzzo); e 10”18 – 10”45 (Tortu). Viceversa Ali corre ora in 9”96 – 10”10.

Perché allora Chituru Ali non è stato schierato? Perché non dava sufficienti garanzie nei cambi! Un errore nel passaggio del testimone avrebbe compromesso la gara degli azzurri. Per questo, alla nuova “giovane speranza” si è preferito l’“usato sicuro”, rinunciando al “Sogno” della medaglia d’oro per puntare alla medaglia di bronzo. Non è il senno di poi: la scelta era chiara fin dall’inizio.

Con Ali in squadra si puntava al trionfo, ma si poteva anche arrivare ultimi, o essere squalificati (Nota Bene: il rischio di errori nei cambi da parte di Ali poteva essere fortemente contenuto riducendo da due a uno i passaggi di testimone a lui affidati, schierandolo in prima o quarta frazione (per questo non parlo della terza frazione: non soltanto perché si tratta di una curva).

Senza Ali, si puntava al “piazzamento sicuro”. La scelta, dunque, alla fine è stata di natura politica o filosofica, non tecnica. Non per niente Marcell Jacobs aveva chiesto apertamente lo scorso luglio di “trovare un posto in staffetta ad Ali”. Marcell è uno di quelli che più amano sognare e rischiare e il suo appello era apparso inusuale già allora: il suo significato è oggi più chiaro che mai.

Dispiace anche per Tortu, che in ultima frazione il mondo ha visto superato a grande velocità, inesorabilmente, da ben tre atleti. Si sapeva che Tortu, in questo momento, non è in gran forma. Lo aveva dimostrato anche nella semifinale dei 200 m facendo registrare un tempo molto alto, in seguito al quale egli stesso aveva messo in dubbio la sua partecipazione alla staffetta. Non sarebbe stato meglio lasciare nei cuori e nelle menti degli spettatori il ricordo intatto della sua mitica volata di Tokyo?

Quanto a Melluzzo, anche lui aveva mostrato di essere in una fase di appannamento, dopo i due 10”12 ottenuti in primavera. Il suo 10”40 ha un po’ deluso, anche se è stato il secondo migliore fra i primi frazionisti: si confrontava con i più deboli (al contrario di Tortu). Ma è giovane: gli auguriamo un grande futuro.

In conclusione: bisogna saper perdere! La cosa meno saggia, in simili frangenti, è abbandonarsi alle polemiche. Altra cosa però è analizzare serenamente le cause di una sconfitta (per poi riproporsi più forti). Perciò, innanzitutto, complimenti al Canada al Sudafrica e alla Gran Bretagna. In secondo luogo, “Grazie!” ai nostri atleti e ai nostri tecnici per questi magnifici tre anni. La mia personale impressione è però che questa volta i selezionatori abbiano sbagliato a impuntarsi e a non schierare Chituru Ali.

Non sappiamo come sarebbe andata in quel caso, ma la decisione di non rischiare – stavolta – non era in sintonia con i sogni e le speranze degli italiani; col senno di poi, si è rivelata anche sbagliata. L’Italia si trovava nella condizione di dover rischiare, e non ha osato farlo; gli Stati Uniti potevano vincere senza rischiare, e hanno perso prendendo rischi inutili. La Fortuna aiuta gli audaci, ignora i pavidi, punisce gli stolti!

Ma c’è spazio per tutte le opinioni. Speriamo nei prossimi giorni di ascoltare serenamente anche quella dei tecnici del settore velocità: il pubblico è maturo, appassionato, e ha il diritto di sapere.

L'articolo Olimpiadi, la sconfitta alla 4×100 brucia: perché non è stato schierato Ali? Vorrei un parere tecnico proviene da Il Fatto Quotidiano.

Ucraina e Russia: quel che non condivido nell’editoriale di Travaglio | La risposta del direttore

$
0
0

Egregio Direttore,

ho letto il Suo editoriale di Ferragosto dedicato all’Ucraina, nel quale ho rilevato diversi punti su cui dissento, nonché affermazioni delle quali mi sfuggono i fondamenti.

L’esplosione di North Stream 2 avvenne forse per mano ucraina, ma senza “copertura Nato”. Biden non è responsabile/complice delle magagne del figlio. Podolyak non “ricatta” nessuno, non foss’altro perché non è nelle condizioni di farlo. L’epiteto di “fanatico” a lui rivolto mi pare gratuitamente offensivo: Podolyak è nel suo Paese e combatte un esercito straniero.

Resta un mistero glorioso come l’invasione di Kursk possa essere usata dagli ucraini per “ricattare i Paesi più prudenti della Nato per avere mano libera sull’uso delle nostre armi in Russia”. Non è vero che gli Usa “ci ricattano” sull’Ucraina (salvo prova contraria), vero è che l’Italia ha sempre preso le sue decisioni in Parlamento, spesso andando in direzione opposta agli auspici degli Usa.

Non è vero che la nostra Costituzione vieti la difesa armata, sia della Patria, sia di un Paese terzo – tanto meno ne vieta il sostegno indiretto; che, al di là dell’uso improprio e manipolatorio delle parole che spesso rilevo, non è ‘fare la guerra!’ – nei confronti di un’aggressione esterna (principio cardine del diritto internazionale). Sostenerlo, a mio avviso, equivale a sovvertire lo spirito profondo della Costituzione, emersa da una lotta armata con aiuto militare esterno, contro un aggressore che tentava di imporre un nuovo ordine mondiale fascista. “Mieli&Sallusti” non “chiamano la Costituzione” – bensì la sua forzatura in senso pacifista o pseudo-pacifista – “ipocrisia” e “odio per l’Occidente”.

Kiev non ha “finto di voler negoziare con Mosca”. Né contrasta con la speranza di negoziato il continuare a combattere in difesa della Patria. Il “blitz” a Kursk non è “militarmente inutile, anzi suicida”, non “la priva dei reparti migliori”: li usa in modo efficace. Detti reparti non sono “condannati allo sterminio”, non più che se operassero nel Donbass; ma il loro “sterminio” eventuale non sarebbe opera e responsabilità di Kiev ma di Mosca. Il “blitz” ucraino “sguarnisce il Donbass dove i russi avanzano vieppiù”, è vero, ma non certo “al solo scopo di bruciare il tavolo dell’eventuale trattativa”.

Simili strategie vennero usate con successo in passato da diversi generali, fra cui Scipione l’Africano. Kiev non “pretende”, chiede “di farlo coi nostri missili e il nostro permesso”, nel comune interesse politico e morale.

“Quando i russi completeranno la conquista del Donbass e annienteranno i reparti ucraini a Kursk, Zelensky piagnucolerà …”. Lei dimostra di avere molte certezze (casualmente in linea con la propaganda russa, lo dico senza ironia) sull’inutilità di ogni resistenza ucraina. Ammettiamo pure (senza concedere). Anche in tale caso, esiste un punto di vista diverso sull’eroismo (che Lei chiama fanatismo), e la sconfitta (aborrita sempre e comunque da Machiavelli: “Ha ragione chi vince”). Testimoniato ad es.: da Varsavia insorta nel 1944 (v. il libro-capolavoro di Norman Davies); da Gesù, Giovanni Battista, e altri profeti; da Ettore (Iliade VI Libro). Un punto di vista che si può non amare, ma che è parte delle radici etiche, laiche e cristiane, della nostra identità europea. Circostanza che suggerisce – se non altro – rispetto verso chi fa tali scelte estreme e difficili.

Se poi lo scenario da Lei paventato dovesse materializzarsi, non dubito che, al posto di Zelensky, Lei si dimostrerebbe tutto d’un pezzo: ma fin qui il Presidente ucraino a me non è mai parso piagnucoloso. “[Zelensky] piagnucolerà che ha finito i soldati e vuole i nostri”: quella non potrà non essere una nostra decisione.

“È così che si precipita nella Terza guerra mondiale senza neppure accorgersene”. Non so la terza, ma nella seconda si precipitò quando prevalsero le tesi di Chamberlain, analoghe alle Sue. E alla guerra attuale si è giunti dopo aver già tollerato l’occupazione russa della Crimea e di vaste regioni dell’est ucraino. Secondo la definizione di Wikipedia: “Appeasement… la politica di fare concessioni politiche, materiali o territoriali a una potenza aggressiva nell’intento di evitare un conflitto”. Al contrario, dal 1945 ad oggi, la terza guerra mondiale è stata evitata grazie alla deterrenza. E dunque l’interrogativo si pone: appeasement o deterrenza?

Un dibattito importante, da fare al massimo livello! Ma nel quale l’onere della prova ricade su chi vorrebbe abbandonare la vecchia strada: cosa assai pericolosa da fare alla leggera, sulla base di mere impressioni giornalistiche.

Egregio Gawronski, la propaganda di Putin su di me non ha alcuna presa, infatti l’ho sempre definito per quello che è – un criminale- fin da quando salì al potere 25 anni fa e per tutti gli anni in cui tutti i governi occidentali, compresi quelli italiani, anche quelli del suo Pd, gli leccavano i piedi e ci facevano affari d’oro. Purtroppo su di me non ha alcuna presa neppure la propaganda occidentale, che da vent’anni e più soffia sul fuoco della guerra alla Russia a opera di governi che ho sempre definito per quello che sono: criminali. Potrei mettermi lì riga per riga a confutare le sue affermazioni, ora ingenuamente infantili, ora irresistibilmente comiche. Oppure suggerirle di leggere il Wall Street Journal a proposito della virginale innocenza degli USA e della NATO in quell’atto di guerra-terrorismo che fu la distruzione dei gasdotti Nord Stream a opera del regime ucraino con la copertura dei servizi occidentali. Ma non voglio svegliarla dalla fiaba fatata del mondo dei buoni in lotta contro l’orco cattivo in cui lei beatamente vive. Sogni d’oro.

m.trav.

L'articolo Ucraina e Russia: quel che non condivido nell’editoriale di Travaglio | La risposta del direttore proviene da Il Fatto Quotidiano.

Nuovo ordine mondiale: le parole del ministro degli Esteri polacco al Consiglio di sicurezza Onu

$
0
0

A (s)proposito: come va la terza guerra mondiale? Una vittoria di Trump alle elezioni di novembre, contrariamente a quanto si pensa, imprimerebbe un’accelerazione drammatica. Qual è il punto di vista dell’Europa dell’est sul nuovo ordine internazionale propugnato dal fronte autoritario (Putin Xi Kim Khamenei Erdogan Orban Trump ecc.)? Questo è il discorso del ministro degli Esteri polacco al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Eccellenze,

L’ambasciatore russo ha previsto che questo dibattito consisterà in “dichiarazioni trite e ritrite dettate da Bruxelles”. È una menzogna: Vi assicuro che quanto state per sentire l’ho scritto di mio pugno.

L’ambasciatore russo sostiene che la Russia non bombarda obiettivi civili. È una seconda menzogna. Due settimane fa ho visitato la città ucraina di Leopoli, dove un condominio è stato colpito da un missile Kalibr russo: questo è il risultato [mostra foto, nda]. Un uomo ha visto sua moglie e tre figlie estratte dalle macerie senza vita. Erano tutte civili. Tutte vivevano lontano dalla linea del fronte. E tutte sono state uccise.

L’ambasciatore russo ha parlato dei “cimiteri di bambini” a Gaza … dove davvero c’è una situazione tragica. Ebbene, i bambini ucraini sono presi di mira non solo con le bombe: a migliaia sono stati rapiti e portati in Russia. Qui vengono sottoposti al lavaggio del cervello per privarli della memoria e della loro identità nazionale.

La Russia sostiene che questi bambini sono orfani, abbandonati nelle zone di guerra: un’altra menzogna! Molti di loro sono stati divisi dai genitori, o in modo fortuito durante gli attacchi o deliberatamente dall’esercito invasore. Rapporti indipendenti hanno rivelato che “funzionari hanno deportato bambini ucraini in Russia o nei territori controllati dai russi senza il loro consenso … Hanno mentito loro dicendo che non erano voluti dai genitori… Li hanno usati per fini di propaganda e … Hanno dato loro famiglie e cittadinanza russe”. Campi di concentramento speciali impartiscono ai bambini rapiti un’istruzione patriottica russa. Ed è stata istituita una hotline per abbinare i minori a potenziali famiglie affidatarie, incentivando queste ultime con premi in denaro. Oltre a ciò, il signor Putin ha firmato un decreto che accelera il processo di concessione della cittadinanza russa ai bambini ucraini rapiti.

Questo non è un danno collaterale della guerra. È un Piano ideato prima della guerra e messo in atto in modo spietato. Le indagini delle Nazioni Unite hanno concluso che queste azioni sono crimini di guerra.

Nell’ottobre 2022, la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto contro Vladimir Putin. L’ambasciatore Nebenzja e i propagandisti russi amano riferirsi al governo democraticamente eletto dell’Ucraina come “nazisti”… come avete appena sentito. Capita tuttavia che in Polonia io viva a tre chilometri da Potulice, il sito di un ex campo di filtraggio nazista durante la Seconda guerra mondiale. È noto per il fatto che migliaia di bambini vi furono imprigionati, provenienti dalla Polonia e dall’Unione Sovietica, dai dintorni di Smolensk e Vitebsk. Fino a 800 di questi bambini morirono. Ma migliaia di loro furono trasferiti a ovest, per essere germanizzati: bambini biondi e dagli occhi azzurri considerati “ariani”. A quanto pare, la razza è utile! Quindi ho alcune domande per l’ambasciatore russo e i suoi superiori:

– In che modo ciò che state facendo ai bambini ucraini rapiti differisce da ciò che i nazisti tedeschi hanno fatto ai vostri bambini, e ai nostri?
– Quanti funzionari russi hanno adottato dei bambini ucraini rapiti, seguendo, come riportato dalla Bbc, l’esempio di Sergei Mironov, ex presidente del Consiglio della Federazione Russa?
– Quando rimanderete in Ucraina le restanti migliaia di bambini ucraini rubati?
– Sapete che rubare bambini in altri paesi equivale a commettere genocidio, come recentemente ribadito dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa?
– Vi ricordate che anche i diplomatici e i propagandisti di un regime genocida sono “criminali”, come sostenevano i procuratori sovietici a Norimberga in riferimento a Ribbentrop e Streicher?

I membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbero essere i guardiani della pace, non combattere le loro guerre con i bambini di altri popoli. Questa è la vergogna della Russia, che non sarà perdonata o dimenticata. E a proposito, poiché l’ambasciatore Nebenzja nega la realtà della collaborazione nazista sovietica nell’invasione della Polonia nel 1939, ecco le foto della parata congiunta. Sono sicuro che riconoscete le uniformi sovietiche.

Grazie mille.

Radoslaw Sikorski, ministro degli Esteri della Polonia

L'articolo Nuovo ordine mondiale: le parole del ministro degli Esteri polacco al Consiglio di sicurezza Onu proviene da Il Fatto Quotidiano.


Vince Trump e finisce la deterrenza Usa in Europa: cosa può succedere?

$
0
0

Da circa 20 giorni i sondaggi sulle presidenziali americane segnalano una rimonta di Donald Trump su Kamala Harris: i due candidati risultano ormai appaiati. E i sondaggi spesso sottovalutano la forza dei candidati populisti. Inoltre, nelle settimane prima del voto, alcune potenze straniere potrebbero accrescere le loro interferenze (come avvenne nel 2016), o anche alimentare le tensioni internazionali, per favorire “The Donald”. La probabilità che Trump diventi il prossimo presidente americano è dunque alta (secondo gli scommettitori). Quali sarebbero le conseguenze per gli Usa e l’Europa?

In economia, Harris farebbe meno deficit, meno protezionismo, più tasse sui ricchi. Conseguenze: minori tassi, dollaro debole, deficit commerciali contenuti (!), banche più solide, borsa meno esuberante e volatile, minore inflazione, minori diseguaglianze. Sul piano sociale, Harris tutelerebbe l’ambiente, la riforma sanitaria, la prevenzione epidemiologica, l’aborto, il commercio, il consumatore, la concorrenza (anti-trust); secondo i trumpiani, tutto a scapito dell’innovazione.

Per quanto riguarda i diritti civili e la democrazia, Trump non nasconde le sue tendenze autoritarie. Ha promesso di riempire le agenzie governative di fedelissimi ed usarle – anche l’esercito – contro “il nemico interno”: giornalisti, giudici, politici, oppositori, immigranti, ecc. A differenza del 2016, è deciso a realizzare la sua Agenda radicale. Oltre 200 (!) suoi ex-collaboratori repubblicani hanno avvertito dei gravi rischi democratici che pone. Il gen. Milley, ex capo di Stato Maggiore della Difesa, ha detto di lui: “È un fascista fino al midollo… la persona più pericolosa in assoluto per il nostro Paese che io abbia mai incontrato”.

Per noi europei, quali sarebbero le conseguenze dell’elezione di Trump? Immaginiamo uno scenario fra i vari possibili. Appena insediato, il nuovo Presidente americano annuncia la fine degli aiuti all’Ucraina, e invita Zelensky ad accettare (sostanzialmente) le condizioni russe. Zelensky risponde: gli ucraini non si arrendono! L’Ue dichiara: “Continueremo ad aiutare l’Ucraina”. Ma dibatte sul come sostituire gli aiuti americani: triplicare gli aiuti europei con una tassa di scopo? La Russia fa capire che è stufa e che intende usare armi nucleari tattiche per ‘ricondurre alla ragione’ gli ucraini.

Trump spiega che l’Europa non lo riguarda: la deterrenza Usa in Europa non c’è più. Ciò pone gli inglesi e francesi di fronte a una scelta:

– sostituire la deterrenza Usa con una deterrenza europea? Dichiarare una linea rossa: ‘se usate le atomiche in Ucraina noi lo faremo contro di voi’? (Come Biden). È subito chiaro che questa politica ha un rischio: basteranno le 550 bombe europee a indurre i russi (5.700 bombe) a più miti consigli?

– l’alternativa è abbandonare gli ucraini, e rinunciare alla deterrenza atomica. Putin stesso intuisce che gli europei sono troppo divisi e confusi per fare leva su quel che hanno.

Data la profonda impressione causata nell’opinione pubblica dalle minacce atomiche russe (senza più l’ombrello americano), la Francia sceglie subito la seconda via; incerto, l’UK deve adeguarsi. Il panico nelle file ucraine (luglio 2025) provoca il crollo del fronte. L’Ucraina diventa uno stato satellite di Mosca, fra arresti e torture, con un Presidente oligarca incaricato di “russificare” e umiliare i vinti.

La fine della deterrenza in Europa lascia campo libero alla Russia: che annette la Moldavia orientale, e pone condizioni a Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania, e Bulgaria, di natura politica, economica, militare. Quindi, occupa i Paesi Baltici (Gennaio 2026), brutalizzandoli per umiliare tutti gli europei. In Europa occidentale prevalgono governi collaborazionisti, con qualche eccezione ‘patriottica’ ma impotente. Nel tempo la Russia, tramite i partiti fedeli, impone leggi liberticide, non senza fiere ma vane proteste dei cittadini. Seguono arresti e processi. Le testate libere vengono gradualmente chiuse.

Nell’estate 2025 intanto, un summit fra Putin, Xi, e Trump, definito da molti “la Nuova Yalta”, ha posto le basi della pace mondiale. A fine 2025 viene firmato un accordo fra Taiwan e la Cina per un graduale passaggio dei poteri da Taipei a Pechino. Segue un’ondata migratoria da Taiwan verso Usa e paesi vicini. In Medio Oriente, il controllo americano–israeliano si rafforza, grazie al ritiro di tutte le truppe russe e la caduta del regime di Assad. L’Iran, stretto fra Russia, Usa, e Israele, interrompe il sostegno alle milizie di Hamas, Hezbollah, e Houti. In Africa il nuovo colonialismo ha il volto brutale della Wagner. In America Latina cadono i governi antiamericani. Ma l’attenzione di Trump è tutta sulla situazione interna agli Usa, dove si gioca una drammatica partita contro i “nemici interni”, sull’orlo della guerra civile.

Resta un interrogativo aperto sul futuro dell’Europa: colonia (di chi?) o grande potenza?
– La fine della deterrenza Usa in difesa delle democrazie;
– la spinta autoritaria esterna.

Sono queste le vere grandi novità della Presidenza Trump. È tempo che l’Europa si prepari. Colpisce che nostri politici non inizino a farlo.

PS. La crisi della democrazia ha anche origini interne. In breve: il fascismo ed altri autoritarismi vincono libere elezioni. Lo sconfitto non è l’Occidente, o l’America, ma il Liberalismo alias la Democrazia. L’assenza di ‘manutenzione’ delle istituzioni democratiche da parte delle classi politiche, divenute caste privilegiate, ha tolto efficacia e legittimità alla ‘rappresentanza’; ha spento l’amore per le istituzioni, la voglia di combattere per loro. Ha alimentato la richiesta di democrazia diretta, anticamera del fascismo: nulla è più manipolabile del ‘popolo’. Comunque vada in America il 5 novembre, il tramonto della democrazia è già nei cuori, nei numeri, dappertutto; ed è inevitabile. Si chiude l’epoca della Democrazia iniziata nel 1783-1789.

L'articolo Vince Trump e finisce la deterrenza Usa in Europa: cosa può succedere? proviene da Il Fatto Quotidiano.

Usa 2024: chi ha paura di Donald Trump?

$
0
0

Se qualcuno crede che Wall Street in queste settimane stia scendendo per l’incertezza politica causata da Trump, farebbe meglio a ricredersi. Vero, dai primi di ottobre il magnate è in ascesa nei sondaggi; tuttavia la continua forza del dollaro dimostra che l’estremismo politico non spaventa i mercati. La borsa è (moderatamente) preoccupata solo dalle misure economiche annunciate. Trump intende:

a) tornare al protezionismo commerciale degli anni ’30;
b) abbassare le tasse ai ricchi e alle corporations, aumentando il deficit pubblico;
c) deportare 12 milioni di immigrati clandestini.

Ecco alcune conseguenze economiche attese:
– I dazi causeranno un ritorno dell’inflazione. La Fed reagirà alzando i tassi d’interesse.
– Il deficit pubblico assorbirà buona parte del risparmio di famiglie e imprese: la scarsità di risparmio metterà pressione sui tassi di interesse.
– L’espulsione degli immigrati renderà scarsa la manodopera, mettendo pressione sui salari, i costi produttivi, i prezzi, quindi i tassi d’interesse.

Tutto fa pensare a un forte aumento dei tassi d’interesse. Infatti, anticipando, in ottobre i tassi di mercato sono vistosamente saliti. La borsa non ama i tassi elevati: perciò – nonostante le promesse di sgravi fiscali – scende. Il dollaro forte conferma. Tuttavia, i mercati ignorano l’estremismo politico di Trump a loro rischio e pericolo. Se non obiettassero ai regimi autoritari, dovrebbero almeno temere i costi di transizione. L’impressione invece è che molti, in America, sottovalutino la pericolosità del signor Trump.

Sul piano economico, nel medio-lungo periodo, la de-globalizzazione (a) – se attuata – colpirebbe i commerci, quindi la produttività e il Pil in molti Paesi. Negli Usa, un’aggravante sarebbe il caos produttivo generato dall’espulsione dei migranti. Il debito pubblico, poi, andrebbe su traiettorie insostenibili. Le crisi finanziarie – negli Usa e nei Paesi in via di sviluppo indebitati – non tarderebbero a manifestarsi.

Sul piano politico, solo recentemente gli intellettuali, i politici, e i media americani hanno cominciato ad attribuire a Trump l’aggettivo che gli compete: “fascista”. La presa di coscienza della sfida democratica negli Usa è appena all’inizio. Viceversa, Trump si prepara da anni.

In caso di sconfitta, i trumpiani disconosceranno il risultato elettorale. Come nel 2020. Ma stavolta hanno un piano e un’organizzazione dedicata, che sul territorio si avvale di migliaia di avvocati, coordinatori, gruppi d’azione. Trump si limita a martellare che i democratici possono vincere solo con le frodi; e denuncia ogni giorno, a sproposito, un aspetto diverso del processo elettorale.

L’alleato Elon Musk, proprietario di X (Twitter), ha investito decine di miliardi in una campagna di fake news che mira a screditare il processo elettorale. Gli uffici elettorali tentano di ribattere, di chiarire come stanno le cose, ma sono sopraffatti da ondate di disinformazione sui social; alle quali, secondo l’Fbi, contribuisce anche la Russia. Per me il quadro è chiaro: i trumpiani violeranno la legge fino alla violenza, ‘se necessario’. Al tempo stesso, useranno la legge in modo fraudolento con l’aiuto di personaggi compiacenti, nel Congresso, nella Corte Suprema, fra i giudici, ai vertici di alcuni Stati, per rubare la Presidenza. La situazione sarà ancor più esplosiva se i margini di Harris (come dicono i sondaggi) saranno minimi. A livello internazionale, c’è anche il rischio che qualcuno tenti nuove avventure militari, o aggravi quelle in corso.

In caso di vittoria elettorale, Trump ha annunciato quattro anni di forzature antidemocratiche. Dopo l’insediamento (20/1/2025) scatenerà una tempesta contro i “nemici interni”: politici, giornalisti, finanzieri, oppositori, alcuni dei quali ha indicato per nome. E vuole espellere “rapidamente” 12 milioni di immigrati illegali che vivono negli Usa. Con tutti i prevedibili corollari: la ricerca casa per casa di chi si nasconde, la delazione nei luoghi di lavoro e negli ospedali, la separazione dei figli dalle madri senza permesso di soggiorno, ecc. Lo scopo dell’operazione è politico: creare un clima di “noi e loro”, che diventerà “noi” contro di “loro” non appena qualche immigrato reagirà con la violenza.

Una doppia domanda a questo punto si pone.
1. Davvero Trump intende sovvertire l’ordine costituzionale? davvero è disposto a “usare la Guardia Nazionale o … l’esercito”, fino a sparare sugli americani?
2. Glielo lasceranno fare?

Il fascismo ha quasi sempre conquistato il potere con l’intimidazione, la seduzione e l’ambiguità, non con la forza. Nella fase ascendente sia Mussolini che Hitler ricevettero le chiavi del potere esecutivo da chi li considerava macchiette manipolabili ai propri fini. Entrambi avevano chiaramente annunciato le proprie intenzioni.

Il candore in questi casi serve a: (1) diffondere i nuovi dis-valori; (2) stimolare l’auto-organizzazione dei seguaci; (3) selezionare una classe dirigente fedele. Al tempo stesso, i leader fascisti lasciano credere che la loro sia pura retorica… per evitare reazioni dello Stato. Nel primo mandato Trump si circondò di repubblicani che ne frenarono l’estremismo (non così stavolta). Quei collaboratori hanno rivelato molte cose: in una occasione Trump chiese di sparare su dei manifestanti. Insomma, Trump fa sul serio.

Glielo lasceranno fare? Prendiamo lo scenario più estremo. Il presidente Trump ordina all’esercito di intervenire. Trattandosi di una iniziativa anticostituzionale, solo due generali obbediscono; gli altri restano nelle caserme… ma senza contrastare i generali trumpiani; e vengono immediatamente sostituiti. Morale della favola, la Storia insegna: non è facile contrastare un fascista che diventa Capo dell’Esecutivo.

In conclusione: l’elezione di oggi sarà decisa dalle scelte fatte oggi dagli elettori indecisi. Queste scelte non sono più rilevabili dai sondaggi. Ma se negli ultimi giorni vedremo un forte indebolimento del dollaro, vorrà dire che i mercati (gli elettori) cominciano a temere l’estremismo politico: Harris potrebbe vincere. In caso contrario, Trump è favorito.

L'articolo Usa 2024: chi ha paura di Donald Trump? proviene da Il Fatto Quotidiano.

Ora l’Ue dovrebbe agire subito per salvare l’Ucraina: l’alternativa è la resa dell’Europa

$
0
0

Questa notte, tutto il mondo (chi ha potuto) ha assistito con grande interesse alle elezioni americane, per le ovvie ricadute locali nell’era della globalizzazione. Ma per un Paese in particolare il risultato elettorale americano era una questione di vita o di morte: l’Ucraina.

Attaccando con Kiev l’“ordine globale” vigente, Putin aveva scommesso – più che sulle sue armate – sulla scarsa volontà dell’Occidente di difendere i principi su cui esso stesso si fonda. Codificati – dopo la Seconda guerra mondiale – a Norimberga, nella dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, nel diritto penale internazionale, nelle istituzioni delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale, del Wto, dell’Ocse e di altri organismi di cooperazione internazionale. Principi, peraltro, spesso violati dai repubblicani americani (Bush jr. in Iraq, ecc).

Con il successo di Trump, Putin ha vinto la sua prima scommessa: a fine gennaio gli Stati Uniti verosimilmente ritireranno il loro sostegno economico e militare all’Ucraina invasa, colpita, torturata ma finora solo in parte sottomessa.

Biden si è premurato di lasciare in eredità agli ucraini un po’ di soldi e di armi. Ma l’ascesa a Washington di un fervente ammiratore di Putin si farà sentire subito al fronte, attraverso il meccanismo potente delle aspettative. La prevista interruzione degli aiuti, infatti, potrebbe facilmente demoralizzare gli ucraini, determinandone il rapido crollo. È già successo in Afghanistan pochi anni fa, quando la notizia di un futuro disimpegno americano determinò il rapido crollo dell’esercito alleato locale e, a seguire, la fuga ignominiosa degli americani.

Se dunque l’Europa volesse salvare Kiev dovrebbe agire immediatamente, proponendosi in modo credibile al posto degli americani. I quali però non offrivano agli ucraini solo soldi e armi, ma anche un ombrello nucleare basato sulla deterrenza. E questa, contrariamente al flusso di armi e soldi, cesserà improvvisamente il prossimo 20 gennaio, con il passaggio delle consegne da Biden a Trump.

L’Europa avrebbe dunque di fronte un compito estremamente arduo e urgente, che richiederebbe di fare in due mesi quei progressi che per decenni sono mancati, sul coordinamento delle politiche estere e di difesa e sulla messa in comune della sovranità. O almeno, occorrerebbero fantasia e leadership per creare meccanismi istituzionali provvisori/straordinari ma funzionali.

Ma perché mai l’Unione europea dovrebbe difendere l’Ucraina? Le categorie geopolitiche non chiariscono la questione. Come dice Putin, la guerra (mondiale) è fra i sostenitori del vecchio ordine globale (liberale) e i sostenitori del nuovo ordine globale (autoritario). La profonda divisione dell’elettorato americano dimostra che la faglia fra i liberali e gli autoritari attraversa tutte le nazioni. Questa faglia (come altre) in caso di scontro paralizza ed espone le democrazie (per questo Putin le ritiene decadenti), condannando i regimi liberali alla sconfitta.

L’alternativa è una vergognosa resa dell’Europa in Ucraina. Rinunciando a sostenere la parte combattente del movimento liberaldemocratico internazionale, l’Europa invierebbe un chiaro segnale a dei pericolosi clienti: di essere disposta a sottomettersi. E tuttavia, è questa la soluzione di gran lunga più probabile, in base ai vincoli politici correnti e alla storia di promesse occidentali non mantenute degli ultimi secoli – dalle rivoluzioni del 1848 al tradimento della Cecoslovacchia nel 1938, alla ‘drole de guerre’ nel settembre 1939.

La vittoria di Trump accelera la crisi delle democrazie, acutamente percepita da Putin nel suo ormai famoso articolo di geopolitica del 2021 (del quale l’ambasciata russa due settimane fa pubblicizzava una traduzione in italiano). Oggi come allora la politica ‘piccola’ ha tutto l’interesse ad alimentare l’illusione che la pace e la libertà possono essere conservate a buon mercato: il risveglio è quasi sempre duro.

L'articolo Ora l’Ue dovrebbe agire subito per salvare l’Ucraina: l’alternativa è la resa dell’Europa proviene da Il Fatto Quotidiano.

Putin aveva un sogno nazionalista: così ha individuato i nostri punti deboli per realizzarlo

$
0
0

Per capire la geopolitica occorre capire le motivazioni profonde dei protagonisti, al netto di ogni pregiudizio. In politica – Machiavelli insegna – il discorso pubblico è diverso da quello privato, e da quel che si pensa veramente. Il primo passo è ascoltare i leader. Il secondo è distinguere le affermazioni sincere dalla propaganda.

Prendiamo Vladimir Putin. Il film “Il Presidente” (ПРЕЗИДЕНТ, 150’, Russia 2015), che celebra il 15esimo del suo avvento, è scevro della propaganda attuale, e illustra bene l’autentica visione putiniana dei rapporti internazionali della Russia e del “Nuovo Ordine Mondiale” (Nom) multipolare.

In primo luogo, nonostante l’antiamericanismo, Putin nel film indica chiaramente che l’ordine mondiale cui aspira è quello in cui Russia e Stati Uniti (ora anche Cina) decidono congiuntamente tutte le più importanti questioni geopolitiche, e suddividono il mondo in “sfere di influenza”. Il leader del Cremlino, anche se non lo dice, vagheggia un ritorno all’epoca di Yalta (1945-89): un mondo in cui gli altri Paesi, soprattutto quelli piccoli, avrebbero poca o nessuna voce in capitolo riguardo al proprio destino.

In secondo luogo, nel film Putin non solo considera la disintegrazione dell’Urss “la più grande tragedia geopolitica del secolo XX”, ma legge la Storia in modo distorto e pericoloso. “Nel 1991 tutti noi ci facevamo delle illusioni: sembrava allora che dopo la fine della divisione ideologica fra Urss e il resto del mondo civilizzato, la libertà ci avrebbe salutato con gioia all’ingresso”. Perciò, “la Russia ha rinunciato volontariamente ai propri territori”. Non è così. Quando Putin parla delle perdite territoriali della Russia, sostiene che tutte le ex repubbliche federate sono territori russi! Li concepisce non come “zona di influenza”, ma come “territorio nostro”, dal quale tuttavia la Russia “si è ritirata volontariamente”. In realtà, l’attuale Federazione Russa ha esattamente gli stessi confini della Russia sovietica. Le repubbliche divenute indipendenti nel 1991 non hanno mai fatto parte della Russia. Quella di Putin è pertanto una rivisitazione orwelliana della Storia, un ‘putinismo’ che risale ai tempi zaristi.

Anche il mito della caduta volontaria dell’Urss, operata “dall’alto”, che ignora completamente la volontà dei popoli, è pura fantasia. In realtà, tutte le repubbliche federate proclamarono la loro sovranità nel 1989-90 (come nel 1918). Non ci fu nulla di volontario nella risposta di Mosca: cercò di fermare la Lituania col blocco economico e la forza; ma non riuscì a fermare il movimento di uscita dall’Urss. Di conseguenza, dopo il fallimento del colpo di stato dell’agosto 1991, la disintegrazione dell’Unione era inevitabile. Gli accordi di Belavezha (8/12/1991) misero semplicemente su carta ciò che era accaduto.

In terzo luogo, il film rivela “l’isolamento della Russia nell’ex spazio sovietico” (K. Kirillova). Emerge infatti che i popoli e i Paesi di quei territori non guardano a Mosca, anche se Putin suggerisce che dovrebbero. A parte Nazarbayev, non c’è alcun riferimento positivo ai leader delle ex-repubbliche: neppure Lukashenko, al quale, ovviamente, la prospettiva di considerare la Bielorussia territorio della Russia non genera alcun piacere.

Queste idee sono state ribadite più volte. Sul Nom, ad esempio, Putin spesso deride il diritto internazionale vigente. Sull’Ucraina, nel saggio Sull’unità storica di russi e ucraini (2021) afferma: russi, bielorussi e ucraini sono “un unico popolo”; i confini russo-ucraini sono arbitrari: “la Russia è stata derubata”; “Kiev semplicemente non ha bisogno del Donbass”; fino a sostenere che l’Ucraina non è mai esistita. Le ex repubbliche sovietiche cercano un difficile equilibrio fra difesa della sovranità e minacce russe. Nel febbraio 2022, ad esempio, Putin si lasciò scappare che nel Nom ci saranno due tipi di nazioni: le grandi potenze e i ‘paesi piccoli’ nelle loro sfere di influenza; questi ultimi “mi spiace dirlo, ma è così, saranno delle colonie di fatto”. Provocò una alzata di scudi; seguì un’imbarazzata retromarcia. Si veda anche il recente rifiuto di Kazakhstan e Uzbekistan di aderire ai Brics, e i rimbrotti di Lavrov.

Confrontiamo quanto sopra con l’annuncio in tv (22/2/2022) dell’invasione dell’Ucraina. Putin ora lamenta: che la Russia “si fece carico della quota ucraina del debito sovietico”, ma “l‘Ucraina adesso reclama una quota delle riserve auree” dell’Urss, e “altri privilegi”. Che l’Ucraina è “infetta con i virus del nazionalismo e della corruzione”. Che ha promulgato “leggi che discriminano la minoranza russofona”. Che “ha violato gli accordi di Minsk”. Che prepara un’aggressione militare contro la Russia. Che intende dotarsi di armi nucleari. Che sta progettando “un afflusso di truppe Nato” sul suo territorio. Che l’intenzione di entrare nella Nato è una “minaccia diretta alla sicurezza della Russia”. Che la Nato ha tradito la promessa di “non espandersi nell’Europa dell’est”.

Qui il progetto nazionalista, imperiale, genocida resta sullo sfondo. La propaganda racconta altre storie. Confonde, divide, s’intesta ogni sorta di buone intenzioni. Il vittimismo solletica la latente domanda di riconoscimento delle masse, suscita l’odio, giustifica l’invasione, i crimini… E qui sta il punto: “Un grande paese migliora quando perde l’ultima guerra coloniale” (T. Snyder). Per l’insipienza di Biden e dei repubblicani, la Russia – pur allo stremo, sul filo di lana – sta per vincere la sua ultima guerra coloniale. Per questo non sarà l’ultima.

Considerato spesso un anonimo ex funzionario del Kgb che calza scarpe troppo grandi, isolato nella bolla degli yesmen del Cremlino, incapace di calcolare le sue mosse, Putin ha invece dimostrato un’intelligenza superiore. L’uomo più ricco del mondo, 15 anni fa, aveva un sogno nazionalista; capiva che l’Occidente non glielo avrebbe permesso. Così ha individuato i nostri punti deboli (permeabilità dei sistemi politici), le nostre faglie (crisi della democrazia, antiamericanismo). Con Gerasimov ha concepito e attuato un progetto: la “guerra ibrida”. Ha conquistato il Paese-centro, gli Stati Uniti, senza sparare un colpo; si appresta a piazzare un suo probabile agente a capo dei Servizi Segreti! In Ucraina, in Africa e anche altrove sembra prevalere sul traballante diritto internazionale. Sta legittimando col Nom l’idea della “Grande Russia”. Il tutto in sintonia con la sua visione domestica fortemente autoritaria, ormai comune alle tre grandi potenze del pianeta. Sottovalutato.

L'articolo Putin aveva un sogno nazionalista: così ha individuato i nostri punti deboli per realizzarlo proviene da Il Fatto Quotidiano.

L’America presa a tradimento. Forse Kamala dovrebbe chiedere l’annullamento delle elezioni

$
0
0

L’America… di Luther King, Steinbeck, Bob, Pete, Grace, Leonard; “Nixon Boia!”. Il Paese dei miei sogni giovanili… A vent’anni ero nel quartier generale di Jimmy Carter (Atlanta), quando divenne presidente. L’America… se te la giravi in autostop/greyhound, facevi subito amicizia: poi ti ospitavano a casa, aperti allo straniero e al diverso. L’amicizia! Per me è fare insieme progetti (audaci) e realizzarli divertendosi!

L’America vincente

Prendete tre oligarchi oggi molto noti in America: Trump, Putin (scusate) e Musk; un americano, un russo, un sudafricano. Cos’hanno in comune? I soldi?! L’ideologia? O piuttosto, dei progetti? Ultimamente pare si frequentino spesso. Elon, che ha fatto campagna elettorale con Donald, è stato fotografato due volte a Mosca con Vladimir Vladimirovich; la terza volta hanno fatto pure il comunicato: è un’amicizia recente. Donald e Vladimir, invece, sono vecchi amici: quest’anno, dicono a Mar a Lago, si sono sentiti solo “quattro o cinque volte”. Per dirsi cosa?

Dopo le elezioni presidenziali, erano felici, sembravano congratularsi a vicenda. Elon è rimasto per giorni ospite nella residenza privata di Donald, Mar a Lago dove, fra festini e banchetti, selezionavano i nuovi ministri. L’amico Vladimir era sempre presente in spirito… e al telefono: il viva voce – riferiscono le fonti – consentiva lunghe e distese conversazioni a tre. Anche lui è felice: già il 7 novembre a Mosca, dichiarava: “Da oggi inizia il Nuovo Ordine Mondiale”.

L’America perdente

Mentre i tre se la ridono, i dem s’interrogano: colpa di Biden o Harris? E volano gli stracci! Intanto i ricercatori scavano, e trovano piccole anomalie. La rimonta ottobrina di Trump è stata insolitamente lineare. Ha coinciso con il moltiplicarsi di dichiarazioni e atteggiamenti folli, sovversive, sgradite agli elettori potenziali. I consiglieri si disperavano quando abbandonava i temi concordati: economia, inflazione, immigrati.

Altre stranezze sono emerse dopo le elezioni. Rispetto alla sconfitta del 2020, Trump nel 2024 quasi non ha guadagnato voti! A decidere le elezioni sono stati 8 milioni di “elettori democratici” non presentatisi alle urne. Si sono disinteressati delle elezioni quando Trump, più che mai, alimentava i timori per la democrazia, che era in cima alle loro motivazioni!? Perché questo differenziale è stato maggiore nei blue states e nei decisivi swing states? Kamala Harris in molti collegi ha preso meno voti dei candidati dem al Congresso (Texas, Arizona, Wisconsin): perché? Ha perso in Georgia, dove hanno eletto un governatore democratico. Ha preso meno voti dei ‘si’ ottenuti dai referendum per il diritto all’aborto, tenutisi lo stesso giorno in dieci stati.

La sconfitta dem è, dunque, colpa della Harris? Possiamo trovarle molte debolezze. Ma non è evidente che lei e la sua campagna siano state così scarse. Ad esempio, ha vinto il dibattito in tv (Trump si è guardato bene dal riprovarci). Troppo moderata? Molti dem moderati al Senato hanno fatto meglio di lei (Tester, Klobuchar, Golden, Perez). Dicono che soffiava un vento contrario…

L’America presa a tradimento

Le grandi potenze hanno sempre cercato di influenzare gli sviluppi politici ed elettorali all’estero. Con l’arrivo dei ‘social’, in occasione della prima invasione dell’Ucraina (2014), i russi sperimentarono un nuovo sistema per manipolare l’opinione pubblica occidentale: la propaganda digitale differenziata. Esempio. Ai gruppi di sinistra mandarono il messaggio: ‘ucraini = nazisti’; a quelli di destra: ‘ucraini = filo-omosessuali = minaccia ai valori’; agli antisemiti: ucraini = cospirazione ebraica; ecc. Il risultato sorprese anche i russi. Non ottennero più consensi, ma il dibattito in occidente si spostò dall’invasione alle qualità (negative) della società ucraina, demotivando i potenziali amici dell’Ucraina. Bastò. In occidente quasi ci dimenticammo dell’invasione.

Nel 2016 i dati disponibili sugli elettori americani erano migliori. Stesso metodo, stesso dipartimento, il Servizio di Sicurezza Federale della Federazione Russa (FSB) determinò probabilmente la sconfitta di Hillary Clinton. Ai neri dissero: “Hillary è razzista!”. Ai bianchi: “Difende i criminali neri!”. Qualunque cosa.

Nel 2024 Elon Musk ha portato l’inganno a nuovi livelli di scala e sofisticazione (Washington Post). La demotivazione per via digitale (email, video, pubblicità, telefonate, sms), veicolata da una falsa Harris, funziona così. L’inizio ideologicamente accattivante attira il soggetto; poi la finta Harris dice qualcosa di deludente e spegne l’entusiasmo. Manda messaggi filopalestinesi agli ebrei-americani, filoisraeliani agli arabo-americani, ecc. La personalizzazione dei messaggi è impressionante: “KH” vuole bandire gli usi locali, le tue amate sigarette al mentolo, le medicine preferite, ecc.

Non solo. Alcuni mesi prima delle elezioni Musk ha modificato l’algoritmo di Twitter/X, per impedire ai messaggi pro Harris di emergere quanto quelli pro Trump. Inoltre, ha convinto milioni di persone che i funzionari elettorali preparavano brogli diffusi. Intanto dalla Russia arrivano durante il voto allarmi bomba nei seggi degli swing states, ma solo nelle aree a forte maggioranza dem, per ridurne la partecipazione. E… chissà cos’altro! Forse Kamala Harris dovrebbe chiedere l’annullamento delle elezioni presidenziali americane: perderebbe, ma lancerebbe una forte riflessione collettiva.

“Tre corsari, tre corsari / se ne van pei sette mari…”

I nostri tre amici ora sanno come controllare le elezioni in ogni parte del mondo! E ne sono coscienti: dopo un battibecco, Musk ha twittato alla First Lady brasiliana: “Perderai le prossime elezioni!”.

“I corsari sono tre / e i Pirati trentatré!”

Il lato positivo? Sei un oligarca? Pieno di soldi? Parla con Elon, ENTRA IN POLITICA! Comprati “‘n po’ de dati”, e diventa anche tu un dittatore digitale! Fonte

L'articolo L’America presa a tradimento. Forse Kamala dovrebbe chiedere l’annullamento delle elezioni proviene da Il Fatto Quotidiano.

Con Trump, il progetto autoritario globale degli oligarchi è a uno stadio avanzato

$
0
0

Trump è l’argument du jour. Fino al suo insediamento (20 gennaio) era tutto un minimizzare, un ‘figuriamoci se davvero…!’. Qualcuno sperava che avrebbe portato la pace nel mondo, e la giustizia. Dopo il 20 gennaio le illusioni cadono veloci, ma l’opinione pubblica ha ancora grandi difficoltà a mettere insieme i ‘pezzi del puzzle’, a coglierne il disegno complessivo. Una difficoltà alimentata ad arte dall’avvio frenetico del neopresidente: punta “al fatto compiuto, prima che [i nostri avversari] capiscano” (S. Bannon).

L’errore di molti è ridurre tutto alla “imprevedibilità”, “incompetenza”, “stupidità”, insomma all’“irrazionalità” di Trump: non credono a una strategia unificante, perché loro non la vedono. Altri assemblano due-tre pezzi del puzzle (= informazioni) e credono di essere arrivati a dama. Ad esempio, Paul Krugman ritiene che il vero obiettivo di Trump sia “arricchirsi”: è vero (vedasi la vicenda bitcoin), ma grossolanamente incompleto.

Il terzo errore frequente è di tipo ideologico: c’è chi non vuol vedere alcuni pezzi del puzzle: “Dietrologia!”. Il quarto errore è considerare Trump un leader solitario, isolato dalle forze storiche profonde del nostro tempo. Il quinto errore è farsi condizionare dai troll organizzati, molto presenti on line.

Nel 2024 avvertivo: Trump è il frontman americano di una grande controrivoluzione globale promossa da alcuni poteri forti (oligarchi, mafie, leader autoritari), che mira a sovvertire gli effetti politici della seconda guerra mondiale. “Trump è un fascista”, scrivevo, “fa sul serio!”.

Offrivo quattro previsioni:

1. Negli Usa “Trump intende sovvertire l’ordine costituzionale”
Il golpe è ora in pieno svolgimento. Nel III millennio non mandano i militari in strada: sequestrano le istituzioni, i dati, i sistemi di pagamento, violano la privacy, esautorano gli altri Poteri dello Stato. Oltre lo ‘spoil system’, massicce purghe investono il Pentagono, la Cia, l’Fbi, la Commissione Elettorale Federale, le Agenzie Indipendenti, i Ministeri. L’amministrazione (incluso l’esercito) deve obbedire al Presidente prima che alla Costituzione. Dai siti ministeriali sono spariti i dati online (d’ora in poi il governo racconterà quel che vuole). Distruggono le istituzioni. Ad esempio la Cia ha invitato tutti i suoi dipendenti a lasciare l’organizzazione in cambio di 7 mesi di stipendio (come lo spieghiamo? Per chi lavora Trump?). All’Fbi annunciano il probabile licenziamento di metà dei 38.000 dipendenti. Queste azioni sono illegali perché scavalcano il Congresso. Ma Trump si appresta ad ignorare anche i decreti dei giudici.

2. Nel mondo “si chiude l’era della Democrazia, iniziata nel 1783-1789”
Nel 2016, secondo molti autorevoli studi, le interferenze della Russia sono state ‘probabilmente decisive’ per il successo di Trump. I russi hanno poi raffinato i propri metodi, passando dalla fake news all’informazione ‘selettiva distorta’. Musk nel 2022 ha sperimentato nuovi metodi in Florida (elezione di Rubio). L’informazione sulle manipolazioni del 2024 è ancora dispersa, ma su base aneddotica è chiaro che Trump è stato eletto (al netto degli errori dei ‘dem’) con l’aiuto decisivo della profilazione di massa al servizio delle tecniche di “disinformazione personalizzata” di Musk e Putin.

Non a caso, appena insediata la nuova amministrazione, ha subito preso il controllo del – cancellato i dati, e chiuso – la sezione Fbi che combatte le interferenze elettorali esterne.

Il punto è che il metodo Putin-Musk è replicabile ovunque, anche in Europa: “Dove si fermeranno?” chiede la politologa Anne Applebaum. In Germania l’AfD, appoggiata da Musk, ha già il 20% dei consensi. In Uk Farage è in testa. In Brasile Musk ha twittato ai Lula: “Perderete le prossime elezioni”. La Romania ha annullato il voto: non perché “ha vinto l’altro”, ma perché le democrazie non sono preparate alla ‘guerra ibrida’ di cui sono oggetto. La gente, ignara, sottovaluta; ma Bill Gates contesta a Musk la destabilizzazione elettorale “degli Usa e altre democrazie”.

3. Nelle relazioni internazionali, “Trump intende sovvertire l’ordine mondiale basato sul diritto… internazionale… è la fine del multilateralismo”
“Oggi inizia il nuovo ordine internazionale” multipolare – ha detto Putin il 7 novembre 2024. Ovvero: inizia il concerto delle superpotenze, con la suddivisione del mondo in “zone di influenza”, all’interno delle quali ciascuna superpotenza fa ciò che vuole delle altre nazioni… “colonie di fatto” (Putin). Alla Russia spettano le repubbliche ex sovietiche, e l’Europa; agli Usa il continente americano e il Medio Oriente; ai cinesi il Sud-Est asiatico. Ecco perché Trump annuncia di volersi prendere Panama, Groenlandia, Canada… e Gaza, senza la minima obiezione della Russia! (solo Trudeau risponde come Churchill!).

Con l’Ucraina, Trump gioca al gatto col topo. Ha tolto loro discretamente gli aiuti umanitari e civili (ma non a Israele ed Egitto), non rinnova gli aiuti militari. Finge di minacciare ‘sanzioni’ alla Russia: una manfrina! È d’accordo con Putin.

4. Trump, Musk, e Putin coltivano da tempo dei legami anche personali
Xi, Kim e gli ayatollah iraniani sono associati all’impresa tramite Putin. Gli oligarchi americani verranno associati al progetto da Musk.

Nel 1987 Trump fu invitato a Mosca dal governo sovietico. Al suo ritorno cominciò a vagheggiare di candidarsi alla Presidenza Usa. I legami con i russi crebbero nel tempo. Qual è oggi, esattamente, il rapporto fra Trump e Putin? Dipendenza, ricatto, amicizia, affari comuni, debiti…? Fatto sta che alla testa dei servizi segreti Usa ha messo degli ambigui filorussi.

Anche Musk nel 2022 è stato invitato a Mosca ed è diventato filo-russo; parla spesso al telefono con Putin; ha tolto Starlink all’Ucraina e a Taiwan. È vicino a Xi; a Shanghai ha una mega fabbrica di Tesla.

In conclusione: il progetto autoritario globale degli oligarchi è a uno stadio avanzato. La battaglia cruciale è ora in America.

L'articolo Con Trump, il progetto autoritario globale degli oligarchi è a uno stadio avanzato proviene da Il Fatto Quotidiano.

Davanti ai dazi di Trump l’Ue ha due strade: aprire ai negoziati o puntare al ‘regime change’

$
0
0

I dazi di Trump colpiscono in modo grave l’economia mondiale: sia i consumatori sia i produttori, incluse le catene del valore di alcuni settori industriali molto integrati a livello internazionale (come l’auto). Colpiscono in modo particolare alcuni Paesi in via di sviluppo (Cambogia, Vietnam, Brasile), che praticano ai fini dell’industrializzazione la strategia della ‘infant industry’ (protezionismo temporaneo). Anche l’Europa vede pesantemente tassate le sue esportazioni oltreatlantico: 10% ‘di base’ (vale per tutti i Paesi del mondo) e un 20% ‘specifico’ per l’Ue.

I dazi sono tutti diversi a seconda delle situazioni geografiche e qualche volta anche settoriali, perciò la pubblica amministrazione americana, colpita dai licenziamenti di Musk, farà non poca fatica ad applicarli.

Per stimare gli impatti, la prima questione è capire quanto di questa tassa i produttori riusciranno a scaricare sui prezzi finali e sul consumatore Usa, e quanto invece verrà assorbito dal calo di profitti, salari e occupazione nelle aziende esportatrici. C’è tutta una letteratura economica empirica sulla questione cosiddetta del ‘pass-through’, che in sostanza dice due cose.

1. Primo, il ‘pass-through’ è più alto in quei settori dove il produttore ha un certo grado di monopolio, per esempio un brand che rende il prodotto quasi unico, insostituibile, agli occhi dei consumatori; la Ferrari è probabile che aumenterà i suoi prezzi di un importo pari a quello dei dazi, e tanti saluti; i pastifici un po’ meno.

2. Secondo, il pass-through dell’export europeo verso gli Stati Uniti è all’incirca, in media, del 50%: significa che la tassa di Trump colpirà sia i produttori europei che i consumatori americani. Molto più basso è invece il pass-through delle esportazioni dei Paesi in via di sviluppo, generalmente più facili da sostituire con prodotti locali.

Una seconda questione è l’elasticità, rispetto al reddito reale, della spesa dei consumatori. Il reddito reale dei consumatori scenderà sia per l’aumento dei prezzi sia per le inefficienze che introdurrà la de-globalizzazione delle catene del valore internazionali. La riduzione del reddito reale limiterà la domanda di beni, quindi gli investimenti delle imprese; e, qua e là, provocherà dei licenziamenti dolorosi.

Le banche centrali potrebbero contrastare, se volessero, la probabile stagnazione con il credito facile e il ribasso dei tassi di interesse. Ma l’aumento della ‘inflazione da protezionismo’ sconsiglierà queste manovre espansive.

Questo pessimo risultato, o “frittata”, non è solo il frutto della follia di un singolo politico imbizzarrito, ma di decenni di demagogia di bassa lega contro la globalizzazione e, in particolare, le importazioni (fondamentali per lo sviluppo, come sa bene la Russia sotto sanzioni). È però anche il frutto del mercantilismo di Cina, Giappone, Svizzera, Olanda, Germania che, in flagrante violazione del diritto economico internazionale (Statuto del Fmi, art. 1 e 4), hanno accumulato surplus commerciali abnormi (spingendo gli Usa in deficit).

Che il commercio sia fondamentale per il benessere lo sapevano perfino i barbari ai tempi dell’impero romano, laddove, dopo ogni guerra, ogni negoziato o trattato di pace – per esempio quello del 374 d.C. fra l’imperatore Valente e i Goti – includevano un importante ed assai sentito capitolo sull’apertura di canali commerciali. La globalizzazione ha generato un’enorme e diffuso benessere nel mondo (Cina, India… anche l’Africa sta ‘decollando’). Ma il liberismo ha fatto molti danni – non che il comunismo o altri regimi si siano rivelati migliori -, danni che avrebbero potuto e dovuto essere in parte prevenuti con la regolamentazione.

L’esatto contrario di ciò che hai in mente Trump: improbabile leader pacifista e no-global che, a questo giro, ha esentato dai dazi la Russia e la Bielorussia ma non l’Ucraina. Che bella cosa l’amicizia! Per dire, al margine, quanto vale la sua “ira” contro Putin che non vuole accettare la proposta di ‘cessate il fuoco’ nel Donbass.

Ora che fare? “Retaliate or not retaliate?” Se lo chiedono molti leader europei. Dipende da come lo si fa, e con quali obiettivi. Se è per aprire subito dei negoziati, che portino a un calo generalizzato dei dazi e a un rafforzamento delle regole internazionali, può essere opportuno reagire in modo simmetrico. Altrimenti, è bene chiarire che sul piano economico non c’è motivo. Se gli Usa preferiscono farsi del male pur di farci del male (finché beninteso non cederemo la Groenlandia, e il Canada non diventerà il 51esimo Stato americano), noi, pur avendone tutto il diritto in base alle regole del Wto, non dovremmo aggravare la dose scimmiottando gli Stati Uniti. “Italia first”, insomma, è un’idiozia.

Potremmo semmai studiare dei dazi molto limitati e mirati su settori dove il nostro approvvigionamento è comunque facile, e vicini agli interessi politici di Trump; o anche no… A meno che non decidiamo che Trump è un pericolo per il mondo, e puntiamo al ‘regime change’. E allora si, à la guerre comme à la guerre: facciamoci pure del male, pur di colpire il consenso di Trump fra gli elettori americani.

L'articolo Davanti ai dazi di Trump l’Ue ha due strade: aprire ai negoziati o puntare al ‘regime change’ proviene da Il Fatto Quotidiano.


Nessuno capisce il senso profondo dei dazi: cosa vuole davvero Trump?

$
0
0

La nuova politica commerciale americana sconvolge il mondo. Tutti scioccati e sorpresi, a chiedersi: “perché?!”. Fior di osservatori internazionali, economisti, blogger, i mercati finanziari e i loro uffici studi, politici, giornalisti ancora non riescono a penetrare nella scatola nera chiamata Trump.

“Vuole fare cassa? Saranno 4 spiccioli…”. “Re-industrializzare, dice, ma in verità i dazi sono un danno per tutta l’industria!”. “L’ emergenza non c’è”. “Il Presidente ce l’ha col deficit commerciale… E perché poi?”. “La condizione posta al Canada è che diventi il 51esimo Stato… Il fentanyl? Da qui non passa, e neanche i migranti clandestini”. “L’auto, certo, a Detroit c’è la sua base elettorale…”. “Sta bluffando…”. “Una strategia negoziale… Hanno detto che non torneranno indietro, io non ci credo”. “Saranno i mercati a piegarlo”. “Ma è semplice: si tratta di un incompetente”. “Un folle!”. “Si rende conto dei danni che fa al proprio Paese?”. “Arriva la recessione, le borse crollano, già perde consensi!”. “Di certo ha speculato al ribasso, ‘sto stro*zo!”.

Questi sono solo alcuni dei commenti che girano. La verità è che, comunque li si veda, i dazi di Trump non hanno alcun senso economico. Le giustificazioni offerte, poi, sono talmente varie da risultare poco credibili: insomma, dei meri pretesti. Il vero gioco di Trump, e di chi c’è dietro, è nascosto da una cortina fumogena a volte teatrale, divertente, istrionica, a volte minacciosa, egocentrica e ambiziosa: che vuole apparire casuale, capricciosa, ma non lo è. È il vecchio schema degli anni 20 e 30, che afferma e nega allo stesso tempo, per preparare la sovversione dell’ordine democratico senza averne l’aria.

Per penetrare la cortina fumogena, e capire le logiche di Trump, bisognerebbe chiedersi: chi è veramente ‘The Donald’? Come e perché è arrivato alla presidenza degli Stati Uniti d’America? Ha fatto tutto da solo o ce lo hanno portato? A quali interessi risponde? J.D. Vance chi rappresenta? Qual è il progetto? Esistono libri molto seri sull’argomento, ma non sono noti al grande pubblico. In pochi hanno voglia di andare sbirciare dietro al velo. Perciò andiamo dritti alle conclusioni.

“Un Anello per trovarli, un Anello per domarli, un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli”. Ecco il punto: i dazi sono il secondo anello. Se il grande progetto autoritario degli oligarchi è globale, è pur vero – come ho già scritto – che la partita decisiva si gioca in America nei prossimi mesi. La scadenza cruciale sono le elezioni di mid-term. Il problema di Trump è di consolidare e stabilizzare, entro due anni, il suo controllo su una società complessa, vasta e diversificata come quella americana.

Usare l’esercito (terzo anello) per ora è escluso: sarebbe prematuro e pericoloso. I social (controllo dei dati e delle preferenze personali, profilazione di massa, disinformazione personalizzata o mirata a particolari gruppi sociali, informazione selettiva, concentrazione dell’informazione), già ampiamente utilizzati, anche se capaci di manipolare cuori e menti, sono però incapaci di coercizione.

I dazi introducono una forte e capillare discrezionalità nell’economia. Chi vuole un’esenzione dovrà d’ora in poi bussare, cappello in mano, dal presidente; chi gli si metterà di traverso potrà subire, tra le altre ritorsioni, anche un aumento dei dazi. Intanto, la nuova amministrazione Trump non esita a colpire individualmente chi non riga dritto. Nei primi tre mesi ha già colpito diversi studi legali (per lavorare hanno bisogno della licenza), università, individui, dipendenti pubblici, gruppi sociali ritenuti potenziali avversari del nuovo che avanza.

L’America comincia ad assomigliare un po’ alla Russia di Putin. E Trump esulta: “Tutti stanno venendo a bussare da noi”: “Every country has called us. That’s the beauty of what we do, we put ourselves in the driver’s seat”. Trump told reporters aboard Air Force One… “If we would have asked these countries to do us a favor, they would have said no,” Trump went on. “Now they will do anything for us.”

Gli imprenditori americani pure, ma di quelli lui non parla. E nella bufera il presidente è tranquillo. Dice che tutto va secondo i piani: è proprio vero! Egli sa, io so, e adesso anche voi sapete (non saremo presi di sorpresa), che non c’è nulla che gli altri o le altre nazioni possano fare per indurre il presidente a tornare indietro: dei dazi lui ha bisogno per motivi interni, per consolidare la sua presa sulla società americana; quella è la sua priorità. E se violano le leggi americane e internazionali, tanto meglio.

L'articolo Nessuno capisce il senso profondo dei dazi: cosa vuole davvero Trump? proviene da Il Fatto Quotidiano.

Gli annunci di Trump sui dazi fanno ballare i mercati: inquietanti le ipotesi di insider trading o aggiotaggio

$
0
0

Mercoledì scorso, sul Corriere della Sera – non proprio un campione di dietrologia – Ferruccio de Bortoli, ex direttore, ipotizzava che dietro alla inusuale volatilità dei mercati finanziari di questi giorni vi siano gigantesche operazioni di insider trading, se non anche di aggiotaggio. Se confermate, queste notizie sarebbero molto gravi per il mondo e per ciascuno di noi. È bene capire perché.

Negli ultimi giorni la volatilità degli asset finanziari, in particolare americani – ad esempio l’indice Dow Jones – è stata superiore di circa sei volte rispetto al normale. Questa impennata record, come tutti sanno, è stata provocata dai ripetuti e contraddittori annunci sulla politica commerciale americana da parte del presidente degli Stati Uniti. Mercoledì scorso, con le borse aperte e sui minimi, una clamorosa marcia indietro del presidente sui dazi ha scatenato un improvviso tsunami al rialzo.

L’ipotesi dell’insider trading vorrebbe che qualcuno, informato in anticipo degli annunci imminenti del presidente, abbia scommesso – tramite derivati ad alta leva – grandi capitali finanziari, in particolare sull’imprevedibile e improvviso rialzo di borsa di mercoledì… E abbia guadagnato in poche ore somme esorbitanti.

L’ipotesi dell’aggiotaggio è ancora più grave: qualcuno avrebbe fatto apposta degli annunci in grado di influenzare i mercati, spingendoli al momento giusto nella direzione voluta, e realizzando i soliti profitti abnormi. Inutile dire che sia l’insider trading che l’aggiotaggio sono reati penali severamente puniti, poiché con tali manovre si manipolano i mercati e si derubano gli ignari investitori.

Quanti risparmiatori nei giorni scorsi hanno svenduto i loro titoli, di fronte ai continui ribassi e al costante aggravarsi della guerra commerciale? A chi sono stati ceduti i titoli, a vil prezzo, forse a qualcuno che già sapeva che il trend stava per invertirsi? Quanti hedge funds, fondi d’investimento, banche d’affari, gestori vari in tutto il mondo hanno preso posizioni al ribasso nel tentativo di limitare le perdite dei patrimoni gestiti, con controparti ‘rialziste’ che in realtà già sapevano come sarebbe andata a finire? I manipolatori hanno davvero razziato i mercati, sottraendo fiumi di denaro?

Il significato politico, inquietante, di queste ipotesi maligne è evidente. Nel primo caso (insider trade), chi poteva sapere in anticipo degli annunci che il presidente si apprestava a fare? Evidentemente, soltanto qualcuno del suo entourage. Il secondo caso (aggiotaggio), coinvolgerebbe in prima persona il presidente, in quanto ideatore e autore degli annunci. A questo proposito, è sembrato sospetto il post che, tre ore prima del fatidico annuncio, il presidente ha pubblicato sui social: “Questo è il momento di comprare”, ha scritto, quasi a coprirsi preventivamente da ogni responsabilità con un: “Io ve l’avevo detto”. Ma in realtà una cosa è una frase generica e sibillina, come questa; altra cosa sarebbe passare informazioni precise a uno speculatore della propria parte.

Queste illazioni hanno almeno un minimo di fondamento? Ebbene, mercoledì mattina alle 10.20, ora di New York, si è verificato a Wall Street un improvviso aumento della domanda e dei prezzi delle opzioni call a brevissimo termine sui principali indici di borsa. Opzioni che stavano per scadere, e che prima delle 10 valevano 1 o 2 $ o anche meno, alla fine della giornata valevano oltre 10.000 $! Inoltre, già un paio di giorni fa si era improvvisamente diffusa la notizia che il presidente intendeva sospendere i dazi “per 90 giorni”. La voce (raccolta da una agenzia seria come AP, dunque di fonte ‘credibile’) prima aveva fatto impennare i mercati; mezz’ora dopo era stata smentita dalla Casa Bianca; i mercati a quel punto erano di nuovo scesi. Infine, Trump ha sospeso i dazi per… “90 giorni”! Insomma, c’è un eccesso di “voci” che sembrano originare dalla Casa Bianca e che muovono i mercati in maniera esagerata e sospetta.

Quale conclusione è possibile trarre? Secondo me si sa ancora troppo poco. Bisogna aspettare l’indagine del Consumer Financial Protection Bureau, la Autorità Indipendente per la difesa del consumatore nel settore finanziario… Ah già, dimenticavo: gli omini di Elon, non appena al potere, hanno immediatamente smantellato il Cfpb, ma solo in parte; e ne hanno politicizzato la dirigenza. Stessa sorte è toccata alla Sec. Insomma, traete voi le vostre conclusioni.

Se pensate che alcuni oligarchi, tramite conti off-shore e prestanome, con il supporto di personaggi che si muovono nell’ombra, stiano realizzando il colpo del secolo, io su queste dietrologie da sinistra globalista non vi seguo. Per ora.

L'articolo Gli annunci di Trump sui dazi fanno ballare i mercati: inquietanti le ipotesi di insider trading o aggiotaggio proviene da Il Fatto Quotidiano.

Ucraina, Trump ha fatto suo il ‘piano per la pace’ di Putin. Ma la convergenza tra i due non è nuova

$
0
0

Nei giorni dell’eredità spirituale di Francesco sull’importanza di umanizzare le relazioni, Trump ha presentato un “Piano di Pace per l’Ucraina”. Che però non è suo, ma di Putin. Non è neanche un vero piano di pace: “non c’è pace senza dignità e libertà” (Mattarella). All’Ucraina si chiede di cedere tutti i territori (e genti) conquistati da Putin, e alle due superpotenze le sue terre rare e le sue infrastrutture, in cambio di una tregua che durerà fino a che Putin vorrà. Sì, perché all’Ucraina non viene offerta alcuna deterrenza contro nuovi attacchi: né bombe atomiche (per fortuna), né appartenenza alla Nato.

Nel gioco delle tre carte del neo presidente si perde, troppo facilmente, il circo mediatico. Eppure, per decifrare Trump un modo ci sarebbe: guardare a quello che fa, non a quello che dice. Cosa ha fatto Trump? Ha alzato i dazi, risparmiando tre soli paesi: Russia, Bielorussia, Corea del Nord. Ha tolto ogni aiuto agli ucraini. Ha fatto suo il “piano” di Putin. Chiaro, no?

D’altronde la “convergenza” fra Trump e i russi non è nuova. Le prime notizie in merito risalgono al 1984 quando, in una fase di difficoltà finanziaria di Trump, il mafioso russo David Bogatin acquistò in contanti cinque condomini di lusso della Trump Tower (Manhattan, NY) per 6 milioni di dollari. Altri condomini vennero acquistati a caro prezzo da oligarchi russi legati al crimine organizzato. (Successivamente gli appartamenti vennero sequestrati dalle autorità Usa perché utilizzati per riciclare il denaro sporco della mafia russa). Nel 1986 Trump venne avvicinato dall’ambasciatore russo negli Stati Uniti per essere invitato a Mosca, dove si recò nel 1987. Il motivo ‘ufficiale’ del viaggio era quello di valutare una ‘Trump Tower’ a Mosca. Trump descrisse poi quel soggiorno come straordinario: i migliori alberghi, lussuose cene, feste, incontri… In quell’occasione, sarebbe stato “reclutato” dal Kgb (secondo alcuni come agente russo con il nome in codice “Krasnov”, secondo altri come mero simpatizzante). Di recente l’ex alto funzionario del Kgb Yuri Shvets ha confermato che Trump divenne “un obiettivo” nel 1987.

Il contesto è quello degli anni ’80, quando i servizi segreti dell’Urss vararono un’ampia strategia per condizionare le società occidentali. Vi erano incluse operazioni coperte per ‘coltivare’ (legare a sé) e ‘promuovere’ giovani americani di prospettiva. Alla fine degli anni “80, Putin a Berlino era impegnato in queste attività. Più tardi, dal 2001 a Mosca fu lui a rilanciare il programma di penetrazione delle società occidentali.

Quel che è certo, al suo ritorno negli Usa Trump manifestò immediatamente, e per la prima volta, ambizioni politiche. Sorprendentemente si candidò, seppur brevemente, alle primarie repubblicane per la Presidenza degli Stati Uniti. E pubblicò una pagina a pagamento sul New York Times nella quale attaccava la Nato e chiedeva che gli Usa rinunciassero a difendere altri Paesi. Ciò avveniva all’apice del confronto fra Reagan e l’Urss.

Nel 1992 Trump dichiarò bancarotta; troppi debiti: le banche americane avevano chiuso i rubinetti. Ma i finanziamenti e gli investimenti russi salvarono Trump, che nel 1994 rilanciò la sua attività. Tanto che nel 2008 il figlio Trump Jr., vicepresidente dell’azienda di famiglia, dichiarava: “Russians make up a pretty disproportionate cross-section of a lot of our assets… in Dubai… in Soho… in New York… We see a lot of money pouring in from Russia”. Anche se i dettagli restano poco chiari, ciò ha alimentato le speculazioni sulla leva finanziaria che la Russia potrebbe esercitare su Trump.

Nel 1996 Trump era di nuovo a Mosca. In seguito, in almeno sei occasioni nel 2007-09, e ancora nel 2013, Trump padre e/o figlio erano a Mosca “per affari”. Tra questi affari vi è, nel 2008, la vendita per 95 milioni all’oligarca russo Dmitry Rybolovlev di una residenza (Maison de L’Amitie, Palm Beach), pagata da Trump solo 41 milioni. Nel 2010 un importante finanziamento della banca pubblica russa Vnesheconombank salvava le imprese immobiliari canadesi di Trump.

Nel 2018 un’inchiesta giudiziaria Usa investigò le interferenze russe nella campagna elettorale del 2016, e i rapporti fra gli uomini di Trump e i funzionari del Cremlino impegnati in tali attività. Anche se Trump riuscì infine a bloccare il procedimento, la Commissione produsse il cosiddetto “Rapporto Mueller”, nel quale stabiliva che: (a) la Russia (non la Cina) aveva svolto attività distorsive del processo elettorale americano di rilevanza “sistemica” in favore di Trump; (b) diversi collaboratori di Trump fin dal giugno 2016 complottarono con funzionari russi per montare uno scandalo al momento giusto intorno a Hillary Clinton (tramite Wikileaks); (c) diversi collaboratori di Trump mentirono al procuratore, per occultare i rapporti con i russi; 4 di loro ammisero di avere mentito; (d) lo stesso Donald Trump aveva tentato di depistare l’indagine.

Il procuratore speciale incriminò 36 fra collaboratori di Trump e altre persone: 7 si dichiararono colpevoli. Nel 2019 J. Bolton, Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump, lo avvertì che Rudy Giuliani era manipolato dai russi: Trump licenziò Bolton! Nel 2024 scelse come vice J.D. Vance, che deve la sua fulminante carriera politica al magnate Peter Theil, amico personale di Putin. Si può dire che Trump sia letteralmente circondato da filo-russi.

Alcuni servizi segreti occidentali sospettano che Trump sia in qualche modo in mano ai russi. Fra questi, Andrew McCabe, ex vicedirettore dell’Fbi, e un rapporto della Cia del 2021. Chiedetevi: se un vostro agente fosse il Presidente degli Stati Uniti, al posto di Putin quali istruzioni gli dareste? “Gli ordineremmo di fare esattamente quello che sta facendo”, dicono alcuni. Ma nessuno è in grado di dimostrare in modo conclusivo che fra Putin e Trump ci sia qualcosa di più di un’amicizia e… un progetto globale condiviso.

L'articolo Ucraina, Trump ha fatto suo il ‘piano per la pace’ di Putin. Ma la convergenza tra i due non è nuova proviene da Il Fatto Quotidiano.



<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>